L’Osservatore Romano – Tanti cuori in quelle mani

La cultura dell’accoglienza al centro medico dei camilliani a Ouagadougou

Un caldo sole africano illumina la struttura medica del Centro d’accoglienza Notre Dame de Fatima: l’edificio si trova alla periferia di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso.
Qui, tra camici bianchi e corridoi, s’intravede un volto rassicurante, un sorriso che dona gioia: è padre Modeste Ouédraogo, medico cardiologo e religioso camilliano, direttore da tre anni della struttura sanitaria nata nel 2001 per volere dell’ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi. Nei primi anni, il centro era destinato ad accogliere soltanto le persone infette dall’Hiv. Dal 2008, invece, si è trasformato in centro medico aperto a tutti. La struttura rappresenta un segno tangibile che san Camillo de Lellis opera, ancora oggi, accanto alle sorelle e ai fratelli bisognosi: il presidio medico annovera sette medici a servizio permanente (tre sono religiosi camilliani); poi ci sono venti specialisti a servizio di chiamata; tra i ventiquattro infermieri, uno veste la talare nera con la croce rossa camilliana. La parte amministrativa è gestita da tre religiosi dell’ordine in collaborazione con i laici.

Il lavoro di padre Ouédraogo non è semplice, ogni giorno colmo di sfide: «Nel 2023 — sembra quasi assurdo — uno dei problemi più grandi rimane il prezzo dei farmaci. Molti di questi potrebbero salvare tante vite umane ma con i pochissimi mezzi economici a disposizione, per la popolazione non è semplice accedervi. La nostra struttura riesce a poter far fronte a questo annoso problema grazie agli aiuti che provengono molto spesso da ong e dal nostro stesso ordine religioso. Ma non sempre ci riusciamo. Tutto ciò mi rattrista molto», denuncia il padre-dottore camilliano. Lo sforzo del centro medico è quello di poter dare un’assistenza sanitaria adeguata cercando di far fronte ai molteplici e delicati problemi che insorgono ogni giorno.

Davanti a tutte queste problematiche, la parola d’ordine per padre Ouédraogo rimane una e nasce direttamente dal carisma camilliano: “accoglienza”. «Il primo passo per una buona assistenza medica è quello di accogliere il paziente con amore di madre, così come san Camillo de Lellis ci ha raccomandato. Da quando sono stato nominato direttore di questo centro, il mio personale sforzo è finalizzato a come accogliere il paziente. Qui, nella terra in cui operiamo, diviene tra l’a l t ro davvero fondamentale. Anche l’accoglienza è cura: spesso determina il cammino di guarigione del paziente. Il nostro fondatore gridava ai suoi confratelli: “Più cuore in quelle mani!” Dobbiamo sempre ascoltare quel grido se vogliamo rispondere bene alla nostra vocazione di medici e di religiosi camilliani: quelle mani devono essere aperte sempre all’accoglienza». E quando i malati non accorrono alla struttura, allora è importante andare «incontro a loro perché — molto spesso per motivi culturali e antropologici — non tutti hanno la propensione di entrare in una struttura sanitaria: chi per timore, chi magari perché in altri presidi medici non si è sentito accolto, chi per motivi religiosi».

Le emergenze a cui deve far fronte il Centro d’accoglienza sono tante: dai reparti di maternità e ostetricia ai semplici servizi di informazione sanitaria di base; dal reparto pediatrico a quello odontoiatrico a cui non si dà molto spesso l’importanza che merita, eppure «non sono pochi i problemi di salute gravi — come l’endocardite, la pericardite, la valvulopatia — che nascono proprio da una noncuranza dell’apparato dentario». Ma, più di tutti, rimane il problema della malnutrizione dei bambini, piaga inaccettabile e che non può che scuotere la coscienza di ognuno. Lo sforzo che sta attuando la struttura sanitaria e che da tempo è divenuta una nuova sfida da vincere è costruire all’interno dell’hospice una cucina per far fronte al problema dei bambini sottopeso: «Ci siamo accorti che usciti da qui, ritornati a casa, la maggior parte di loro non riescono a recuperare le forze perché malnutriti». Nelle parole di padre Ouédraogo — o del dottor Ouédraogo, le due figure sembrano confondersi e fondersi in una sorta di gioco di specchi — si incontrano i volti dell’Africa che soffre. Una pausa, un tono di voce differente, un’inflessione su una precisa parola incidono fortemente sulla memoria visiva del cuore: quei bambini, quelle donne e quegli uomini che necessitano assistenza medica acquistano forma concreta; non sono più solo nomi ed episodi raccontati. Sono corpi. Sono cuori tutti bisognosi di cure e amore. (antonio tarallo)

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