I Camilliani e la misericordia: assistere gli ammalati

12196016_1519698825016465_2800176346941483207_nQuinta opera di misericordia in Mt 25,36

«L’infermità e la sofferenza sono da sempre stati tra i problemi più gravi che affliggono la vita umana. Nella malattia, l’uomo sperimenta la propria impotenza i propri limiti e la sua finitezza. Ogni infermità può farci intravedere la morte» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1500).

Nell’Antico Testamento l’infermo per eccellenza è Giobbe, che chiede ai suoi amici che si prendano cura di lui così: «Ascoltate dunque la mia riprensione e prestate attenzione alla difesa delle mie labbra» (Gb 13,6), e ripete: «Ascoltate bene la mia parola, e sia questo almeno il conforto che mi date» (Gb 21,2). La testimonianza dell’atto di visitare gli infermi non è molto frequente nella Bibbia. Ne abbiamo un esempio nel Siracide, che lo descrive come atto che si riverbera positivamente sul visitatore: «Non indugiare a visitare un malato, perché per questo sarai amato» (Sir 7,35). Questo testo rivela la mentalità ebraica del tempo, che poneva l’accento su chi faceva visita e non sull’inferno, al contrario di Mt 25,36, dove l’ammalato ha una dignità che deve essere riconosciuta, dato che è identificato con Cristo stesso!

In questo senso, «l’infermo possiede una sacramentalità cristica che lo trasforma in un sacramento di Cristo» (L. Manicardi). Questa prospettiva esige che colui che visita l’infermo scopra nell’incontro con chi è povero e privo di forze un cammino e una chiamata che lo possa condurre ad assimilarsi a Cristo, il quale, «da ricco che era, si è fatto povero per voi» (2 Cor 8,9).
San Camillo, toccato dalla misericordia divina, mentre era al servizio dei malati all’ospedale  S. Giacomo di Roma scoprì che il Signore lo voleva lì e quindi si consacrò per loro mediante i voti di povertà, castità e obbedienza ma chiese al papa Gregorio XIV di poter professare anche un quarto voto specifico: servire i malati anche in caso di peste, cioè con una dedizione totale che comprendeva il dono totale della propria vita.
I malati allora divennero i suoi “signori e padroni” e il suo Ordine prese la denominazione di “Ministri degli infermi” per sottolineare l’importanza “regale” del malato, corpo di Cristo.