Vatican News – Viteinceppate, la via d’uscita per i malati mentali in Indonesia

Da anni i camilliani sono attivi a Maumere, nel Paese asiatico, e da tempo hanno preso a cuore la situazione di tanti inceppati, persone con disturbi psichici ridotti in catene e costrette a vivere così per molto tempo. Il progetto, promosso dalla dottoressa Claudia Amoruso e all’insegna della collaborazione con le strutture locali, sta dando frutti perché punta sulla liberazione dei malati e sulla loro cura

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Mani strette in ceppi di legno, sguardo assente, la malattia mentale che diventa una condanna sociale in Indonesia. Essere un nulla per gli altri e non una persona che ha bisogno di aiuto. È difficile fare una stima degli indonesiani che vivono questa realtà, ma un dato certo c’è. Lo racconta una psicologa che ha sposato una missione difficile: quella di liberare gli inceppati. Si chiama Claudia Amoruso, collabora con Madian Orizzonti Onlus, realtà legata ai camilliani, anima e corpo di Viteinceppate, un progetto unico nel suo genere, che vede la collaborazione della psichiatria di Maumere, nell’isola di Flores, in Indonesia, in realtà costituita da una sola dottoressa, dagli stessi camilliani e dalle persone di buona volontà che dall’Italia stanno portando avanti un impegno importante e fruttuoso.

Liberare dai ceppi

“Circa 50 persone – afferma la dottoressa Amoruso – sono state liberate da Viteinceppate, ma altre cento hanno chiesto di entrare a far parte del progetto”. Il racconto di questo impegno parte dalla fine: da malati incatenati che vivono in totale isolamento e che invece vengono spostati in casette costruite appositamente dai camilliani, qui i pazienti possono trovare un bagno, un giaciglio su cui dormire, “talvolta – spiega la dottoressa – ci sono le lenzuola e questo è un evento nella vita di queste persone che ha un impatto riabilitativo potentissimo”. “C’è anche la possibilità di una ripresa di interazioni in sicurezza con i parenti”. Nel pieno rispetto delle tradizioni indonesiane che, precisa la psicologa, non sono mai state messe in discussione, e grazie alla collaborazione di molti, è stato possibile innescare un circolo virtuoso che ha portato alla diagnosi delle malattie mentali, di solito si tratta di schizofrenia, e alla somministrazione costante di farmaci. “C’è di più – spiega Amoruso – abbiamo individuato una persona che monitora lo stato di salute dei pazienti. Qui c’è tutto un grande lavoro, di piccoli gesti che costituiscono le fondamenta del disinceppamento delle vite inceppate”.

La pratica del pasung

In molte culture, anche in quella indonesiana, la malattia mentale è associata alla possessione di spiriti maligni. Spesso si ricorre ai guaritori o alle strutture psichiatriche che in zone meno centrali, come Maumere, non hanno gli strumenti per fare una diagnosi certa o intraprendere una cura efficace. “A volte – sottolinea la dottoressa – le persone inceppate, con un arto o due bloccati da ceppi di legno per un tempo indefinito, non sempre venivano bloccate in seguito ad una diagnosi psichiatrica, ma anche per situazioni legate a fatti compiuti dalle persone poi inceppate”. Spesso sono gli stessi famigliari che, a fronte di una mancanza di una soluzione medica, risolvono i problemi di salute mentale con il “pasung”. Donne, uomini, adulti e bambini vengono confinati in spazi piccoli e legati con catene in modo che non possano scappare. Un modo anche per allontanare lo stigma della malattia mentale. “Ci sono persone che vivono con un tetto di lamiera sulla testa supportato da 4 pali impiantati nel terreno e molto distanti dalla residenza familiare. Ci sono situazioni di inceppamento, incatenamento e isolamento soprattutto per i minori, – prosegue la psicologa –  in stanze ricavate nelle case molto povere delle famiglie. Immaginiamo 50 metri quadrati, di cui 10 vengono destinati alla costruzione di un pagliericcio, il paziente viene inceppato, o incatenato, svestito fa lì i suoi bisogni, mangia in una ciotola che un familiare provvede a riempire quotidianamente e raramente viene lavato”.

Fòl Fest nel segno di Marco Cavallo

È nel 2012 che la dottoressa Claudia Amoruso si reca in Indonesia, viene colpita dalle foto delle persone inceppate e così, insieme ai camilliani, cerca la strada della liberazione. Un progetto che porta avanti sempre a piccoli passi, solo nel bene e nell’interesse del paziente che, se non ben seguito dopo la liberazione da ceppi, potrebbe ricadere in una situazione ancora più grave rispetto all’inizio. Costruisce una relazione con la psichiatra locale, avvia collaborazioni con il Politecnico di Torino, non si ferma perché vede che una soluzione al pasung c’è e viene anche accettata dagli indonesiani. L’esperienza di Viteinceppate sarà al centro di una tavola rotonda alla Fòl Fest, la festa di Collegno, non lontano da Torino, dedicata alla salute delle menti. Il festival, alla seconda edizione, è in programma da sabato 20 a domenica 28 maggio. Al centro la salute mentale analizzata da diversi punti di vista: scientifico, artistico, culturale, sociale; 62 eventi, 11 mostre, 130 relatori, più di 25 artisti e di 40 musicisti in più di 10 punti del Parco della Certosa Reale e della città. Icona del festival è Marco Cavallo, una scultura di legno e cartapesta, simbolo della chiusura dei manicomi.

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