Parce famulo tuo, quem pretioso sanguine redemisti

di Luciana Mellone

Confida in Dio, e butta il pane nel fiume della vita,
 e indi a poco lo troverai nel mare dell’eternità.[1]

Il dipinto che San Camillo commissionò al padre Mancini – Olio su tela del sec. XVII conservato nel Museo della Casa Generalizia dei Camilliani a Roma

Con la Pasqua viviamo un tempo di speranza, si va verso il compimento del disegno di salvezza: Passione, morte e risurrezione di Cristo.

La risurrezione in Cristo come dono inestimabile della misericordia di Dio. «nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rm 8,24).

Il messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima di questo anno 2019: “«L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8, 19), ci porta a riflettere sulla figura del fondatore san Camillo, che toccato dalla carità di Cristo è stato trasfigurato in spirito, anima e corpo, vivendo come figlio di Dio, rivelandosi come figlio di Dio.

Camillo, come ci ha lasciato scritto il p. Vanti, esprimeva la sua spiritualità sotto un duplice aspetto: quello comune ai santi del tempo che avevano associato l’aspetto spirituale all’umanesimo attraverso l’azione fattiva che si sostituiva all’isolamento ascetico caratteristico dei periodi storici precedenti: un umanesimo spirituale e l’altro personale e distinto legato alla forte convinzione di essere l’espressione della volontà di Dio attraverso la carità “ai poverelli”.

Dio è fedele,  – ricordava a sé e agli altri il caro Santo – fidiamoci di Lui.[2]

Una fiducia e un abbandono che si esprimevano con totale serenità dinnanzi alle maggiori difficoltà perché assolutamente certo che: “all’ultimo d’Iddio sarà la vittoria”[3]

Particolare del dipinto voluto da San Camillo

Non si tratta certo di un ottimismo superficiale e incosciente di chi non conosce la durezza della realtà, e chi meglio di Camillo la conosceva, ma si tratta della certezza incrollabile di chi penetra il senso profondo delle cose e vede come in una filigrana la mano potente di Dio-Amore che tutto dispone e conduce con disegno saggio e misterioso e sconcertante. Quel disegno di salvezza di Dio svelatoci soprattutto da quando Cristo nostra speranza è risorto.[4]

Questa sua fiducia più volte si evidenzia nei suoi scritti; In una lettera al p. Oppertis, avendo a casa molti religiosi infermi, scriveva addolorato, ma fiducioso: Di tutto sia lodato il Signore che il tutto permette per il servizio suo (8 maggio 1593).[5]

Raccomandandosi ai suoi religiosi diceva: Invochiamo la santissima Passione di Nostro Signore e il sangue sparso per noi.

Questa sua visione fu immortalata in un dipinto che egli stesso chiese al padre Mancini, suo confessore; un dipinto del crocifisso che testimonia quanto fosse necessaria per Camillo la rassicurazione della salvezza donata da Dio rievocata dalla visione del sangue del suo Figlio: Fate che dalle piaghe di Gesù esca sangue assai, acciò io vedendo tanta abbondanza di sangue, maggiormente abbia speranza di mia salute. Si raccomandò. Fu accontentato oltre i suoi desideri, perché il pittore ai piedi del crocifisso ritrasse Camillo con l’invocazione che tanto gli era cara: “Parce famulo tuo, quem pretioso sanguine redemisti; Perdona, Signore, al tuo servo che hai redento con il tuo  Preziosissimo sangue”.[6]

In questo quadro egli volle che fosse evocato il mistero dell’amore del Padre, reso visibile nel sangue di Cristo versato per la salvezza degli uomini. In prossimità della morte egli aveva temuto per la propria salvezza; così nel quadro esprimeva nitidamente la sua totale confidenza nella “divina misericordia”, professando con tenace speranza che solo da Dio, mediante l’offerta del suo unico Figlio, viene donata la salvezza.[7]

Lettera autografa di San Camillo inviata a p. Francesco Pelliccioni

Numerose furono le testimonianze delle fonti e di molti religiosi dell’Ordine riguardo la devozione al sangue di Cristo crocifisso. Infatti, negli ultimi giorni della sua vita, invocò continuamente l’aiuto e la misericordia di Gesù crocifisso. Nell’ultima lettera autografa del santo, scritta il 5 luglio 1614 si congeda dal p. Francesco Pelliccioni in una testimonianza commovente ed eloquente:

Car.mo Patre mio haverà pacienza se sarò brevissimo perché sto tanto male che non so splicare et se non fusse per sua consolatione io non haveria scritto… Padre mio, se non ce vedremo più in questa  speramo vederce nel altra mediante il Sangue de Christo …[8]

Nove giorni dopo, il 14 luglio 1614, accarezzando un’ultima volta con lo sguardo l’immagine del Crocifisso, “lietamente” spirò.[9]

[1] Massime e Detti di San Camillo n. XXXII in Il celeste protettore degli Ospedali e degli ammalati: Compendio della vita di s. Camillo de Lellis, Piazza Ferdinando, Cremona, E. Foroni, 1906,  232 ;
[2] Vanti, Mario, Lo spirito di San Camillo de Lellis, Roma: presenza Cristiana, p. 413;
[3] Scritti di San Camillo Al p. Luca Catalano a Ferrara, Napoli 27 novembre 1604 (XLI, p. 247)
[4]Vendrame, Calisto Tempo di Pasqua, Tempo di Speranza, in C.I.C n. 124, Anno X, 20 aprile 1980, 137;
[5] AGMI, 6000/2
[6] Cicatelli 1624, 192-193
[7] Per un approfondimento sul tema dell’esperienza della croce di Camillo come radice e speranza di salvezza cfr. Terenghi, G.: La croce di Cristo nell’esperienza spirituale di S. Camillo de Lellis, Roma: Camillianum 1996,  p. 71 -97
[8] AGMI, 6000/1
[9] Vanti, Mario, Lo spirito di San Camillo de Lellis, Roma: presenza Cristiana, p. 418;

 

Particolare della lettera inviata a p. Francesco Pelliccioni

Particolare della lettera inviata a p. Francesco Pelliccioni