III) Cosa insegna a noi oggi Marcello Candia
La gente lo vedeva come una specie di Madre Teresa di casa nostra e l’accostamento non è affatto campato in aria. Padre Giacomo Girardi, direttore a quei tempi del Centro missionario Pime di Milano, ha testimoniato: “Marcello ha lasciato una traccia profonda di cristianesimo vissuto in tantissime anime. Ne ho avuto prove innumerevoli accompagnandolo in giro nelle sue “campagne d’inverno”: diceva cose semplicissime, convincendo con la sua fede e la sua testimonianza di laico missionario autentico… soprattutto i giovani ne restavano affascinati”. Cosa ci insegna ancor oggi il Servo di Dio dottor Marcello Candia?
Io sono un semplice battezzato
In un’intervista pubblicata dopo la sua morte, Marcello Candia si presentava così: “La mia vocazione è quella di un semplice battezzato. Da Dio ho ricevuto molto e debbo dare molto, anzi cerco di dare tutto. Il mio carisma è quello di dare. Più posso dare agli altri e più sono contento perché è meglio dare che ricevere. Sono aiutato da molti e posso dare molto, ma chi mi aiuta di più è chi prega per me. Ognuno ha i suoi carismi. Io sono ricco e debbo farmi perdonare da Dio donando tutto prima di morire, non dopo“.
La vocazione missionaria di Candia era nata dall’incontro con mons. Pirovano e nel primo viaggio con lui a Macapà in Amazzonia nel 1950, dove poi viveva con i missionari del Pime e anche in Italia e negli Stati Uniti le sue case erano quelle del Pime. Quando gli propongono di nominarlo “membro onorario del Pime”, lui ringrazia ma aggiunge: “Per essere missionario, mi basta il battesimo“. Ma per lui il battesimo era il punto di partenza di tutta la sua vita.
Marcello Candia non era un bigotto nè un lettore di studi biblico-teologici. Era un cristiano normale con una spiritualità le cui fonti scritte non andavano al di là del Vangelo, di qualche libro religioso e delle vite dei Santi (Teresa di Gesù Bambino, Pier Giorgio Frassati) e de “Il manuale del buon cristiano” (stava nella tasca della giacca), che conteneva le orazioni più comuni, i Dieci Comandamenti e le Beatitudini, una selezione delle parole di Gesù e dei Salmi, e, alla fine, una ventina di “meditazioni” di poche pagine sulle principali verità cristiane, che terminavano, e Marcello le sapeva quasi a memoria, con due meditazioni sulla morte, il giudizio di Dio e il Paradiso. Quando pregava, egli si riferiva sempre a quel piccolo libro e quando trovava una frase del Vangelo o altre interessanti, le copiava su un foglietto che metteva nel suo libro di pietà, per poterle rileggere e meditare. Mi veniva in mente il motto latino: “Timeo hominem unius libri”, temo l’uomo che ha un libro solo, una sola idea fissa. Questo era Marcello Candia, ma la sua idea fissa era quella che salva davvero l’uomo: l’amore di Dio, l’imitazione di Cristo e l’amore ai poveri.
Nelle cose di fede e spirituali Marcello amava idee chiare e sicure. Dietro alla sua storia personale fuori del comune, c’era una spiritualità ed una virtù certo non abituali anche fra le anime consacrate. Era un uomo di preghiera e di fede. La sua preghiera era quasi infantile, la giaculatoria preferita: “Signore, aumenta la ma fede!”. A coloro che lo contestavano dicendo e scrivendo che con le sue opere di carità e di promozione umana contribuiva a svirilizzare la rabbia dei poveri, che avrebbero dovuto fare la “rivoluzione”, Candia rispondeva: “Di fronte ad un lebbroso o ad un povero che mi sta dinnanzi, non posso digli di sperare nella rivoluzione che verrà e metterà le cose a posto, debbo aiutarlo adesso e subito”. E naturalmente andava avanti per la sua strada, pur soffrendo molto di queste contestazioni.
Mons. Aristide Pirovano, diceva: “Mi ha sempre colpito in Marcello la sua vita di preghiera. Attivissimo, non smetteva mai di lavorare, di progettare, di parlare per convincere gli altri, un motore in continuo movimento. Però tutto questo suo attivismo era imbevuto di unione con Dio, una preghiera continua che si faceva vita, poichè egli non pensava altro che a Dio, ai poveri, alle opere di carità. Non so neppure se avesse altri pensieri, era un innamorato di Dio e dell’umanità dolorante che il Signore gli aveva fatto incontrare”
Chi ha molto ricevuto, deve dare molto
“Siccome bisogna restare sempre giovani, io penso che il modo migliore sia quello di rispondere sempre alle chiamate del Signore: perciò, in tutto ciò che il Signore mi fa incontrare sul mio cammino e mi ispira ad attuare, io mi ci butto dentro”.
La molla che lo ha spinto per le vie del Signore è stata la convinzione di aver ricevuto molto da Dio e di dover quindi dare molto. Ricordava sempre gli esempi dei genitori, l’educazione ricevuta, la frequentazione dei Cappuccini da giovane e poi i missionari del Pime: tutto considerava una grazia di Dio e in realtà la sua prima formazione cristiana era stata guidata da due uomini eccezionali (oltre che dalla mamma, che perse a 17 anni) P. Genesio e Fr. Cecilio, i due Cappuccini che hanno rappresentato per lui il rigore, la severità, l’ascetica cristiana, il volto sorridente della carità, l’impegno continuo per i poveri. L’ansia di dover rispondere alle grazie di Dio si concretizzava nell’amore ai poveri. Stupisce in Marcello la quantità incredibile di realizzazione: ad elencare tutto quello che ha fatto, cioè le opere che ha realizzato in Italia e in Brasile, ne verrebbe fuori un elenco troppo lungo. Pare impossibile che in pochi anni, Candia avesse realizzato tutte quelle iniziative e, dopo averle fondate, le finanziava generosamente. Il fratello Riccardo, che è stato il testimone più preciso della vita di Marcello, affermava: “Fin da giovane era abituato a portare avanti 3-4 compiti assieme, ciascuno dei quali sarebbe bastato per una persona normale”.
“E’ più quello che riceviamo di quello che diamo”
Marcello Candia racconta che quando arrivò Macapà ed a Marituba e prese contatto diretto con i lebbrosi e gli ammalati, provò ribrezzo per quegli uomini e donne coperti di piaghe. Però poi aggiunge: “Io che credevo di trovare dei rivoltati, ho visto che ci sono grandi esempi di fede e di pazienza, da riflettere per tutta la vita; e si è presi da un’ammirazione grandissima, ringraziandone il Signore… Non ho mai visto dei rivoltati ed è quello che mi ha molto impressionato. A contatto con queste persone, ho visto che l’accettazione del dolore non è minimamente una cosa forzata, come dimostra Adalucio (lebbroso). Il quale, alla domanda: “Ma quando lei incontrerà Dio, gli chiederà il perchè della sua sofferenza?”, lui risponde: “Non ho bisogno di chiederglielo. Accetto per fede la mia situazione, adesso e allora”. Cioè hanno tanta fede che non gli va nemmeno di chiedere il perchè del dolore. Questi uomini e donne, che avrebbero motivo di ribellarsi, ho visto a Marituba che vivono con dignità e serenità il loro dolore”. E Marcello continua: “E’ più quello che riceviamo di quello che diamo”.
“In che senso, andando al fratello sofferente nella carne, egli ti ricambia in misura maggiore?”. Candia risponde: “Il Signore mi ha fatto capire a fondo il Vangelo quando l’ho letto qui in Amazzonia. In Italia l’avevo già letto tante volte, ma solo qui ho capito a fondo quella frase del Signore: “Quello che fate ad uno di questi piccoli lo fate a me”. Quindi se tu mi chiedi: è più quello che diamo o quello che riceviamo? Io rispondo: molto più quello che riceviamo, perchè qui io ho capito il Vangelo come non lo avevo capito mai. E’ evidente che il Vangelo si può capire benissimo in tutte le parti del mondo, ma il Signore a me l’ha reso più facile qui: alla luce delle testimonianze veramente straordinarie delle persone che soffrono“.
Il Servo di Dio Marcello Candia non aveva orari, saltava i pasti, dormiva pochissimo, era un efficientista e un perfezionista sul lavoro, tormentava i dipendenti e i collaboratori, li voleva sempre pronti e perfetti… insomma, si poteva ripetere di lui quanto il Manzoni riferisce che si diceva del card. Federico:” Che sant’uomo! Ma che tormento!”. Marcello infatti vedeva solo l’amore di Dio e dei poveri.
Negli ultimi due anni, la sua vita, già intensa, subisce una forte accelerazione. Capiva di aver poco tempo e aumentava ancora il suo tempo di lavoro. Ma quello che più colpisce nella sua vita missionaria in Amazzonia, è lo spirito moderno, non paternalista, con cui ha vissuto e ha realizzato le sue opere. Ha realizzato quanto gli aveva detto il Card. Montini: “Faccia tutto in modo di non essere più indispensabile“, cioè affidando tutto ai brasiliani stessi. Non era per nulla il ricco che dà l’elemosina ai poveri, ma il fratello che condivide con i poveri, stringe amicizia, li ascolta.
Nel mese che passava in Italia sotto Natale, per parlare a tutti della missione, dei poveri, dell’amore di Dio, chiedeva soldi, ma soprattutto chiedeva preghiere, perché diceva: “Se chiedo solo soldi, mi arrivano solo quelli; se invece chiedo preghiere, prima mi assicurano l’aiuto di Dio e poi mi arrivano anche i soldi…“. Se ripenso alla sua fede semplice ma fermissima mi commuovo. Marcello era uno di quelli che parlano di Dio come se lo vedessero.
Rielaborazione di un’intervista radiofonica – a Radio Maria – di Piero GHEDDO
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