In questi giorni la parola panico rimbalza letteralmente nei pensieri, nei dialoghi e soprattutto nei racconti dei media che sono concentrati per lo più nel raccontare stati di animo o storie intrise di paura. Panico era una parola che fine a qualche settimana fa era ai margini del vocabolario legata a episodi specifici spesso raccontati da ‘altri’.
Questa parola era legata a stati momenti spesso individuali (per esempio avere un attacco di panico) e non permanenti (ormai i giorni dall’inizio della epidemia sono tanti) e sociali (tutti siamo esposti al panico). La parola Panico nasce in riferimento al dio Pan (metà capra metà uomo) che attaccava improvvisamente ragazze nel bosco spaventandole con la sua zampogna. Pan entrava improvvisamente nella vita delle persone senza ‘avvertire’, con un ‘grande rumore’ che disorientava la vittima e soprattutto non coinvolgeva la ragione. Se i nostri antenati potessero sentire i nostri dialoghi, immaginerebbero di certo orde di Pan, dal nome corona virus, vestiti di peli capra che hanno come obiettivo fare vittime solitarie nel bosco! Sorridete?!? Provate a riflettere fra la storia antica e quella dei nostri giorni. Quali sono le differenze? Quali sono le analogie? E provate respirando a dare una vostra interpretazione del panico. Difficile forse?! Siamo fortunati abbiamo un Maestro che ci aiuta nel Vangelo di oggi. Gesù ci dice che in tempo di ‘panico’ (carestia lebbra) ci chiama ad essere profeti (Come Elia ed Eliseo). Profeti di cosa? Non certo dell’amuchina, non della difesa dal nemico, ma forse di quel senso di speranza che può cambiare la vita davvero facendoci sorridere e sorridere. Coraggio!
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