III/ – IL RITORNO IN SAMARIA
Quello che ho detto fin qui è la cosa principale: occorre ritornare più decisamente alle radici della fede, nella consapevolezza molto “francescana” che il vangelo ha abbastanza forza per essere risposta a ciò che occorre oggi.
Ma poi c’è quest’altro passaggio: bisogna calare tutto questo nella vita e nella missione che ci è assegnata. Il profeta Elia incontra Dio sull’Oreb e la consegna che riceve è molto chiara e altrettanto impegnativa: ora torna suoi tuoi passi! Dio lo rimanda in Samaria, alla sua missione,
perché è lì che deve spendere ciò che gli è stato donato all’Oreb.
Così è per noi: dopo l’incontro più in profondità con il Cristo Gesù e il vangelo, dobbiamo tornare alle nostre case, alla nostra missione “in Samaria”. E qui si pone l’altro problema:
che cosa significa questo ritorno? come realizzarlo?
Non ho spazio per indugiare su questo che sarebbe la seconda parte della mia riflessione. Che è però fondamentale, perché è proprio da qui, da come sappiamo esprimere la nostra presenza nella storia, che si vede chi siamo e se abbiamo qualcosa da dire e da dare al mondo. Mi limito ad alcuni passaggi in riferimento al tema che ci sta interessando, quello della vita spirituale.
1/ – Un rischio di spiritualismo
Io provengo da un centro nel quale lavoriamo molto – mi sembra con serietà e con frutto – nel campo della vita spirituale e costatiamo diverse cose.
La prima: accanto a una forte domanda di spiritualità c’è un forte rischio di spiritualismo. Per stare all’immagine che abbiano usato: la convinzione che tra il monte di Dio, l’Oreb, e il luogo della missione in Samaria, ci sia un passaggio immediato: basta pregare di più, riprendere seriamente l’impegno ascetico e la tensione alla santità… e tutto sarà risolto.
Sarebbe troppo semplice se fosse così. Tra l’Oreb – Cristo Gesù e il Vangelo – e la realtà di vita in cui dobbiamo esprimere noi stessi, non c’è un passaggio immediato. C’è di mezzo un’opera di mediazione anche teologica e culturale che è imprescindibile.
Per dirla in una parola: tutte le grandi voci che entrano a costituire il progetto VC – la comunità, i voti e soprattutto la grande sfida della missione – hanno bisogno di essere riprese e ripensate molto più in profondità. Solo a questo patto si potrà capire che cosa comporta il ritorno in Samaria.
C’è un grande lavoro anche teologico da portare avanti, ma con una nota importante da richiamare: si deve trattare di un ripensamento da condurre non “dal basso”, giocato attorno ai problemi istituzionali e al semplice “modo di procedere”, con tutte le indicazioni che possono venire anche dalle scienze umane; ma di un ripensamento che va condotto “dall’alto”, in una prospettiva teologico-spirituale profonda e insieme attenta al mondo al quale il Signore ci invia. Solo chi ha incontrato veramente il Signore ed è stato ammaestrato da lui può capire e poi far vedere come vivere nella storia – e in una VC nuova – ciò che si è capito. Ma è indispensabile che ci sia questo ripensamento.
C’è ancora molto cammino da fare in questo ambito, perché manca tuttora la sintesi, una visione organica che sappia ricondurre in unità le molte cose importanti di cui si parla e che sono state acquisite in questi anni. Manca soprattutto come mentalità, come visione nuova veramente condivisa. Questo significa che bisogna continuare nella riflessione e nella ricerca, e bisogna farlo insieme, come comunità e come istituti. E’ una fatica poco gratificante, ma indispensabile, perché le sorti della VC dipendono anche dalla visione che abbiamo di essa.
2/ – Non solo le persone
Se si tiene viva la consapevolezza che un vero rinnovamento richiede una riconsiderazione di tutte le componenti del progetto VR, allora si eviterà anche l’equivoco – altro aspetto molto diffuso dello spiritualismo – che ci si possa limitare alle persone, ignorando la componente comunitaria e di istituto. Può essere perfino spontaneo sognare un rinnovamento spirituale che rigeneri tutto senza cambiare niente, ma non funziona. Bisogna essere consapevoli che la riqualificazione spirituale di cui la VR ha bisogno, non riguarda solo le persone singole, ma anche gli istituti, e dunque l’impostazione che si dà alla vita a livello comunitario, apostolico e di governo.
C’è un decadimento spirituale della VC d’oggi che deve essere affrontato con molta franchezza proprio a livello generale e di istituto. Ci si domanda, per esempio, se la VR d’oggi sia o no in crisi di identità; un criterio semplice per capirlo a me sembra questo: vedere se tra noi si sia in grado o no di fare delle scelte chiare e vincolanti anche come istituti e come comunità.
Verrebbe da dire che è molto questione di clima. Qual è il clima che si respira quando si entra nelle nostre comunità? di che tipo sono i discorsi – o i silenzi – che corrono tra noi quando si è a tavola? che cosa si mette all’ordine del giorno delle nostre riunioni e quali sono i criteri che ci guidano quando qualcosa viene deciso insieme, anche a livello di governo? che idea si ha del tempo libero e delle ferie? Oppure ancora: come si vive, nel corso dell’anno liturgico, l’ingresso nell’avvento e nella quaresima?..Può sembrare banale, eppure è da queste cose concrete che in definitiva si vede la qualità di vita di una comunità e di un istituto.
3/ – La deriva dello gnosticismo
Sul versante opposto rispetto allo spiritualismo, c’è quella che potremmo chiamare la deriva dello gnosticismo. Mi sembra che si riscontri qui la vera trappola nella quale siamo incorsi in questi anni e dalla quale è urgente liberarsi. Voglio provare a spiegarmi, e dovete avere un po’ di pazienza.
Sopra ho insistito sulla fede e il nostro radicamento in Cristo come unica possibile fonte di senso per la nostra vocazione e missione. Se dimentichiamo questo o lo lasciamo in ombra, come succede anche troppo facilmente, l’unica cosa che rimane è la legge. Non intendo la legge scritta o depositata nei codici, ma l’insieme di convinzioni e di attrezzature culturali che abbiamo in testa e nel cuore e che rappresentano il “dover essere” in base al quale giudichiamo tutto e che imponiamo a noi stessi e agli altri.
In questa linea tutto diventa “progetto nostro”, anche la VR nuova o rinnovata, almeno per chi intende spendersi su questo versante. Un progetto certamente buono, desunto dalla parola di Dio, e da tante altre fonti “buone”, come il ripensamento di questi anni, ma comunque un progetto “nostro”. Non dico semplicemente elaborato a tavolino – spesso è successo pure questo – ma una cosa nostra, un progetto nostro. Sappiamo noi come vanno/devono andare le cose e così deve essere.
E’ un’impostazione che può sembrare anche molto dignitosa, molto “nobilmente laica”, come si dice a volte; ma che in realtà è gnosticismo puro. L’opera nostra che si sostituisce o si sovrappone a quella di Dio. Palo direbbe “la pretesa di salvarsi da sé”. Viene in mente ciò che D. Bonhoeffer dice della comunità, che non è opera nostra ma di Dio, e può essere solo accolta, come dono. Chi ne fa un progetto suo distrugge la comunità invece di costruirla (cf La vita comune, p. 46-47).
E in effetti, perché non è una strada buona? Perché in una impostazione del genere, strettamente parlando, non c’è più posto per Dio, non c’è più bisogno di lui. Oppure se ne parla – come si potrebbe non parlarne? – ma lo si pensa, lui e la sua grazia, come funzionale al nostro progetto. Facciamo appello alla grazia per realizzare quello che “noi” riteniamo debba essere realizzato!
E poi succede questo, ed è storia di tanti in questi anni: quando i nostri progetti, anche i più belli e significativi, non si realizzano come noi pensiamo dovrebbe essere, si rinuncia a tutto. E’ questo che spiega il nascere e il morire molto in fretta di tante cose pur belle di questi anni postconciliari. Solo chi ha capito che è opera di Dio la costruzione del regno e il rinnovamento della VR può tener duro nella difficoltà.
4/ – Dallo gnosticismo alla vera gnosi
Qui il problema è ancora il medesimo: un problema essenzialmente spirituale, di fede. Il punto sarebbe questo: passare dallo gnosticismo alla fede; o, come dicevano gli antichi, dallo gnosticismo alla vera gnosi. Diventare credenti per vivere davvero da credenti.
Ci sarebbero tante esplicitazione da richiamare su questo, ed è sempre questione di quella “lettura sapienziale” di cui si diceva. Per esempio, il tanto diffuso astrattismo intellettualistico. Quanto facilmente si pensa, o abbiamo pensato, che fosse sufficiente “sapere” come deve essere la VR nuova per vederla anche realizzata. Quanti di noi si sono ritenuti o si ritengono “nuovi” semplicemente perché hanno un “nuovo concetto” di VC!
Oppure – anche questo un tipico atteggiamento “gnostico” – l’accontentarsi, nei pur doverosi cambiamenti, di “mettere via” ciò che non va o si ritiene superato, senza domandarsi che cosa scegliere in alternativa. E’ la tendenza a concedersi libertà per il disimpegno, ma non altrettanto per l’impegno. La conseguenza che ne deriva è lo svuotamento: non solo perché a volte si buttano via cose buone; ma soprattutto perché abbiamo troppo “lasciato senza scegliere”, senza delle vere alternative.
5/ – Punto sintesi, la vita spirituale
Concludo richiamando ancora una volta quello che a me pare il vero punto sintesi, a partire dal quale potrà essere ripreso anche il resto: la vita spirituale o, se si vuole, la riqualificazione spirituale dei nostri istituti.
Purtroppo, quando si parla di questo – di vita spirituale e spiritualità – scatta tutta una serie di precomprensioni che portano il discorso subito fuori strada e poi inducono a lasciar perdere. E’ un equivoco disastroso, da cui è indispensabile venire fuori. Richiamo solo due cose.
Primo, c’è certamente l’urgenza di ritornare a una più decisa e concreta tensione morale e spirituale: quella che eravamo soliti chiamare la tensione alla santità. Il cammino di ciascuno nella VR d’oggi è chiamato a scendere di nuovo in profondità, con un ritorno, umile e concreto, a tutti i mezzi che possono dare spessore a una seria vita spirituale.
Ma – ed è la seconda cosa, altrettanto importante – bisogna andare avanti in un deciso ripensamento di ciò che siamo soliti chiamare spiritualità e vita spirituale. Quella che abbiamo alle spalle è per molti aspetti una spiritualità povera, molto debole e moralistica, fatta di pratiche più che di vera sapienza spirituale, e ha bisogno di rigenerarsi, attingendo in modo nuovo alla parola di Dio e alla grande tradizione teologica e spirituale antica. Solo dopo o insieme a questo potrà rifiorire nei dovuti modi anche la tensione alla santità di cui si diceva.
A me sembra che tocchi soprattutto alla VR, per sua natura e per ciò che ha sempre fatto vedere di sé nei secoli, provvedere a un vero rinnovamento degli studi nel campo della teologia spirituale. Che poi significa il rinnovamento della teologia tout-court, perché è la teologia in quanto tale, se guardiamo all’insegnamento dei padri, che deve parlare alla vita e diventare proprio in quanto tale teologia spirituale.
Ma qui andiamo troppo lontano, anche se a me sembra che la VR, se vuole ritrovare forza all’interno della chiesa, si deve saper esprimere anche a questo livello.
6/ – La formazione
Allora ritornerebbe a tema e nei suoi termini giusti anche un altro problema fondamentale, quello della formazione. Nel centro da cui provengo lavoriamo molto in questo campo, nel duplice versante della riflessione teologica e dell’aiuto concreto di guida e accompagnamento per aiutare le persone a entrare in un’effettiva vita spirituale. Abbiamo riflettuto anche con corsi specifici sul rapporto tra la formazione spirituale e l’aiuto che può venire dalle scienze umane, soprattutto la psicologia. E sempre di più è emerso il primato della formazione spirituale, come vero punto sintesi, che può contenere anche il resto.
In questi anni si è parlato molto di formazione dei formatori e quasi sempre per formarli si è dato loro una preparazione psicologica. Ci sono stati dei frutti, ma anche molti problemi, tanto che oggi si costata in diversi ambienti una reazione di rifiuto della psicologia, in una specie di ritorno all’indietro, che può essere peggiore di un uso non sufficientemente attento della psicologia stessa.
Non si può prescindere dalle scienze umane, ma bisogna saperle tenere al loro posto. Quello che veramente importa è la formazione spirituale, la formazione di credenti che siano dei veri credenti, innamorati di Cristo e del vangelo. Con dei formatori, per conseguenza, che siano prima di tutto uomini e donne spirituali. Perché è qui, ripeto – in un’autentica vita spirituale di fede – la vera sintesi di tutto ciò che è desiderabile, anche da un punto di vista umano.
IV/ – una nota per concludere
Il servizio degli organismi di governo
Partecipando al congresso di Roma disperso in mezzo a tanti superiori/e generali, mi veniva da pensare anche al servizio richiesto oggi agli organismi di governo.
Se è vero quanto siam venuti dicendo, allora abbiamo prima di tutto bisogno di chi ci sappia rimandare lì, alla nostra vera identità, sia come singoli che come comunità e istituti. E siamo ancora alla fede e alle cose della fede: la qualità evangelica della nostra vita.
Ieri si parlava molto di tensione alla santità e di conversio morum. Perché non se ne parla più nella VR d’oggi? L’impressione è che nei nostri istituti si sia perso il coraggio di puntare in alto e in profondità. Mi verrebbe perfino da dire che c’è molta solitudine nella VR d’oggi e spesso a patirne sono i migliori. E questo non è normale.
Il problema, forse val la pena richiamarlo, non è il peccato: anche i religiosi sono e saranno sempre come tutti dei peccatori; il problema vero è l’atteggiamento che si prende di fronte al peccato. Se non scandalizza sapere che siamo pure noi dei peccatori, può sconcertare il fatto che a volte sembra ricevere una convalida ufficiale anche ciò che non si può accettare, perché non è conforme al vangelo. Bisognerebbe ricordare che una cosa sono le scelte dei singoli e un’altra quelle di un istituto, che è una realtà di chiesa.
Mi sembra evidente che qui a essere chiamati in causa sono prima di tutto i superiori. Essi sono la “memoria viva” delle esigenze della vocazione e se ne devono fare garanti. Con molto senso pastorale, con la giusta tolleranza e buon senso, ma la VR d’oggi, a me sembra, deve ritrovare il coraggio di dire con chiara determinazione certi no, e i superiori ne sono i portavoce.
Non si intende proporre il metodo delle denunce moralistiche, sarebbe fatica sprecata. Il problema è ancora una volta la fede e il nostro radicamento in Cristo. Per esempio, e tanto per essere concreti, queste quattro cose:
– riconoscere che questo è il problema, la fede;
– non accettare più di darla per scontata;
– confessare umilmente la nostra povertà a questo livello;
– e tornare al Signore da penitenti: conversio morum.
Forse stiamo facendo dello spiritualismo inconcludente parlando così? Non credo, perché la vera rivoluzione, quella che va alle radici e cambia tutto, la può attuare solo Cristo con la potenza del suo Spirito. Ce ne h dato conferma Giovanni Paolo II con la testimonianza che ci ha lasciato. Che è poi la lezione che ci viene dai santi. San Francesco non perse tempo a discutere dei problemi istituzionali, e se ci fosse oggi, non penso che darebbe tanta importanza alle risorse della civiltà mediatica e della tecnica, o alle scienze umane, psicologia compresa. Neanche sant’Ignazio e san Benedetto lo farebbero. Saprebbero entrare nella cultura di oggi per un’altra strada, quella del vangelo. Ed è questa la sfida che si pone anche per noi oggi.
[1] cf L.Guccini, Vita religiosa apostolica, interrogativi sull’identità – in Una comunità per domani, EDB, p, 175-192.
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