Nella sua famiglia si recitava il rosario tutte le sere e in genere era proprio lui che lo intonava e dirigeva. A sette anni Nicolino, come veniva affettuosamente chiamato, aveva sentito per la prima volta la vocazione al sacerdozio.
Un prete camilliano, suo concittadino, lo aveva invitato ad entrare nel Seminario dei Camilliani a Roma e lui aveva accolto l’invito con gioia. Ma i suoi si erano opposti duramente: la madre, infatti, lo avrebbe voluto nel Seminario diocesano di Chieti; il padre, che si vedeva sottrarre delle promettenti braccia per il lavoro nei campi, era assolutamente contrario al progetto di consacrazione del figlio.
Dopo un estenuante braccio di ferro con la famiglia, nell’autunno del ’55 il ragazzo era finalmente entrato nello Studentato camilliano di Roma.
Dinamico e gioviale, sempre col sorriso sulle labbra, sincero nel parlare e gioioso nel donarsi, Nicola aveva anche la cocciutaggine tipica della gente abruzzese ed era un ragazzo fisicamente bellissimo, di una bellezza intensa e molto spirituale.
Propositi e piccole conquiste, tutto viene da lui annotato nel suo diario. Anche i momenti di lotta e di aridità. Ma Nicolino scriveva: «Il demonio si vince stando vicino a Gesù e a Maria coi Sacramenti e con la preghiera…».
La volontà di Dio sopra ogni cosa. Nel marzo del ’64, sentendo tutta la gravità della malattia, il chierico camilliano chiede un colloquio al Superiore provinciale perché gli dica a chiare lettere il suo stato di salute. Messo alle strette, questi non poté nascondergli la verità, ma lo incoraggiò a sperare in Dio.
Nicolino non si disperò, ma dopo un momento di intensa riflessione trascorso davanti a Gesù Eucarestia nella cappella del Seminario, tornò alla vita di prima col suo solito sorriso a fior di labbra.
«Io sono contento – scriveva ai genitori – di poter soffrire un pochino adesso che sono giovane, perché questi sono gli anni più belli per offrire qualcosa al Signore».
In maggio i superiori decidono di mandarlo pellegrino a Lourdes e a Lisieux, per impetrare la grazia della guarigione, e Nicolino accetta per obbedienza: in cuor suo sa che è inutile. «Non chiederò la guarigione, ma che io possa compiere in pieno la volontà di Dio».
Il 7 ottobre di quell’anno avrebbe dovuto emettere i voti solenni, ma oramai non c’era più tempo; si domanda perciò alla Santa Sede il permesso di anticipare la professione perpetua: il 28 maggio 1964, nella cappella dello Studentato camilliano addobbata a festa, Nicolino, ormai in carrozzella, pallido, smagrito e senza forze, dice il suo sì a Dio in eterno.
La migliore moneta. Sentiva che la Madonna lo voleva con sé. Intensificò perciò i momenti di preghiera e di meditazione per potersi preparare meglio all’incontro.
Nicola aveva riposto tutta la sua fiducia in Maria. Nell’Immacolata aveva trovato la forza di dare tutto se stesso e di offrire le sue sofferenze, donandosi come vittima per tanti fratelli bisognosi di speranza e di salvezza.
Soffriva moltissimo, ma non lo dava a vedere. «La sofferenza – diceva – è la migliore moneta con la quale possiamo comprare il Cielo!».
La sera del 12 giugno 1964, dopo un’intera giornata trascorsa in preghiera, ai presenti riuniti attorno al suo letto diceva il suo arrivederci all’eternità.
Il 16 giugno 2000 si è aperto presso il Vicariato di Roma il processo di canonizzazione dello studente camilliano morto in concetto di santità a soli 21 anni.
La vicenda umana e spirituale di questo giovanissimo religioso interpella i giovani di oggi come quelli di ieri, lasciando in eredità alla Chiesa, a tutta la comunità dei battezzati, un segno luminoso, una scia di bene imperitura.
Il suo corpo riposa a Bucchianico, presso la cripta del Santuario di san Camillo, meta di continui pellegrinaggi.
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