Et luna sub pedibus eius. Apoc. XII – La luna sotto i suoi piedi
Continuando la versione descrittaci da s. Giovanni, la donna immacolata ci si mostra con la luna sotto ai piedi: et luna sub pedibus ejus. La luna è simbolo della mutabilità degli uomini e delle cose; Quindi il Savio avvisava che lo stolto si muta a guisa di luna: stultus ut luna mutatur. Questa parte del quadro di Patmos può dichiararci la prerogativa che sortì Maria nella sua concezione di annodare affatto esente dal fomite del peccato. Imperciocchè da questo fomite dobbiamo noi riconoscere quella pieghevolezza al male, e quella ritrosia al bene, che rendono sì poco stabili e durevoli la innocenza e la virtù nel nostro cuore.
Segue pdf di tutta la riflessione
Tratto da I Gigli di Maria, periodico napoletano. Anno III 1866 (pp.
AGOSTINO LANA (Camilliano)
Nacque a Roma il giorno 23 maggio del 1821. Di famiglia profondamente cristiana fu educato secondo i precetti della legge divina. Entrò nell’Ordine dei Ministri degli Infermi nel 1841. Ordinato sacerdote nel 1845. Vero Ministro degli Infermi, lo troviamo operare nei lazzaretti e accanto al letto dei moribondi. Prefetto provinciale e consultore generale. Socio dell’Accademia degli Arcadi con il nome di Filete Eereo e per circa 30 anni fu consultore assiduo e coscienzioso della Sacra Congregazione dei Riti. Teologo profondo, assai versato nella storia Sacra e Profana e nella Archeologia Cristiana. Morì nella Casa di San Giovanni della Malva a Roma il 2 ottobre 1901.
Si distinse nella devozione alla SS. Vergine: molti dei suoi scritti furono pubblicati nel periodico di Napoli I Gigli di Maria di cui fu valente collaboratore.
Il 20 dicembre 1845 venne consacrato sacerdote.
“Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d’eterno consiglio.
Tu se’ colei che l’umana natura
Nobilitasti sì, che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore
Per lo cui caldo nell’eterna pace
Così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridïana face
Di caritate; e giuso, intra i mortali,
Se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
Che, qual vuol grazia e a te non ricorre,
Sua disïanza vuol volar senz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al domandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
In te magnificenza, in te s’aduna
Quantunque in creatura è di bontate!
(Dante, Paradiso, XXXIII)
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