Tutti sappiamo che, ad un certo punto della sua vita, Camillo rinunciò alla carica di Superiore Generale dell’Ordine fondato “dal Crocifisso e dalla piaga che lo aveva segnato per tutta l’esistenza”.
I cronisti ci hanno trasmesso con dovizia di particolare quanto avvenne in quei giorni sottolineando l’umiltà e l’obbedienza del Santo, ma anche un episodio piacevole con il quale Camillo ha ‘festeggiato’ un simile avvenimento atteso con fervore di spirito.
Lasciamo al lettore la descrizione fatta dal primo biografo, il Cicatelli, con queste simili parole:
“Per i gravi pesi, dei quali era oberato l’istituto, non pochi religiosi ricorsero al nuovo card. protettore, Domenico Ginnasi che Paolo V, il 2 marzo 1606, aveva dato all’istituto. Il cardinale s’accertò che la causa del disagio ed inquietudine « consisteva in essersi abbracciato troppo e nel soverchio fervore di quel sant’huomo ». Cercò di porre rimedio, ragguagliando innanzitutto il pontefice, al quale erano pure pervenuti direttamente dei ricorsi. Paolo V affidò, alla prudenza ed abilità del protettore, il delicato compito di provvedere e di intendersi col Fondatore, chiamandolo a Roma da Napoli dov’era immerso nell’esercizio della carità.
Il Ginnasi disse chiaramente a Camillo di dover rimanere a Roma per governare la religione con l’aiuto dei consultori, senza dei quali non doveva prendere alcuna determinazione. L’intimazione spiacque molto al Fondatore, che temeva essere questa « una grandissima persecuzione del Demonio ».
Probabilmente, da questo momento, ritorna in lui il proposito della rinunzia al generalato che già altre volte aveva manifestato e dal quale era stato distolto.
Nel settembre 1607, il cardinale Ginnasi, Protettore dell’Ordine intimò una riunione a Roma alla sua presenza ed alla quale avrebbero dovuto partecipare sia Camillo con i consultori sia i provinciali, con lo scopo di studiare i rimedi alle difficoltà.
Camillo stimò che quella fosse l’occasione opportuna per declinare ogni responsabilità di governo e comunicare la sua rinuncia. A tal fine si recò due volte in udienza da Paolo V, che promise di trattarne col protettore.
La mattina del 2 ottobre ebbe inizio la riunione, nel palazzo del cardinale Ginnasi, alla presenza di mons. Seneca e di tutti i convenuti. Dopo un’allocuzione introduttoria del protettore, Camillo fece un « lungo ragionamento sopra l’instituto et all’amor de poveri che l’havevano forzato al pigliar tanti Ospedali, tanti Novizi e a fare tanti debiti ». E concluse che « lui aveva governato ventiquattro anni e che ritrovandosi vecchio, stanco e malsano era andato due volte dal Pontefice a rinunciare il suo ufficio di Generale ». La decisione giungeva nuova ai suoi religiosi, anche se qualcuno poteva averla intuita o presagita. Il cardinale, dopo un qualche tentativo di dissuasione, dichiarò d’essere autorizzato dal pontefice ad accettare la rinunzia. Camillo allora rinnovò la sua dichiarazione ed espresse l’intenzione di « volere sempre stare sotto il giogo della santa Obbedienza come il più piccolo di tutti».
L’indomani mattina Camillo comunicò alla comunità della Maddalena la sua decisione e, nei giorni seguenti, notificò la sua rinunzia a tutte le case dell’istituto.
Il 3 ottobre la dieta procedette all’elezione del p. Biagio Oppertis a vicario generale, e la nomina fu confermata da Paolo V. Seguirono altre cinque sedute, nelle quali furono trattate in comune le maggiori difficoltà del momento, si fecero molti ordini nuovi, in particolare si ripristinarono le costituzioni che Camillo aveva fatto abrogare nell’ultimo capitolo generale, sul governo centrale dell’Ordine. Si ordinò di andare, in futuro, molto cauti nel fare altri debiti, nel ricevere novizi e nell’assumere ospedali.
“Alhora Camillo quasi dolendosi del Cardinale che non gli havesse molto prima palesata la gratia da lui ottenuta ingenocchiato subito in terra con molta humiltà disse: che cosi come lui haveva gia rinuntiato a piedi del Pontefice cosi anco hora rinuntiava in mano di sua Signoria Ill.ma. pregandola di piu instantemente c’havendo compassione alla sua vecchiezza non volesse mai piu per l’avenire permettere che gli fusse dato altro carico nel governo.
Protestandosi anco di non voler piu nella Religione alcuna sorte di privilegio o prerogativa, ma voler star sempre sotto il giogo della Santa Obedienza come il minimo di tutti.
Con che essendosi dato fine a quella prima Congregatione cominciò dall’istessa sera Camillo à portarsi come tutti gli altri sudditi non andando piu a sedere nel suo ordinario luogo del Refettorio, ma nelle mense de gli altri Sacerdoti…”
“Essendo questa rinuntia stata fatta da lui con tanto suo contento e consolatione di spirito che quando giunsero in Roma i Padri della Dieta esso di propria mano volle a tutti lavare e baciare i piedi. Facendo anco per loro mettere mano ad una botte di buonissimo vino, dicendo che l’haveva serbata apposta per questi ultimi giorni del suo governo allegando le parole del Santo Evangelio: Signore hai conservato il buon vino fino ad ora”.
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