Oggi, 25 marzo, ricorre l’anniversario della nascita di Fratel Ettore Boschini, nato nella frazione di Belvedere del Comune di Roverbella (Mantova) nel 1928.
Di seguito proponiamo un brano tratto dal libro “Fratel Ettore. Una vita per gli ultimi” di Luciano Moia.
Moia, Fratel Ettore. Una vita per gli ultimi, Edizione Camilliane, Torino, 2004, pp.134
«San Camillo non si tocca». I mussulmani alleati di Ettore.
Tra i pochi che evitano teorizzazione astruse e corrono in aiuto degli immigranti c’è come al solito fratel Ettore. Fin dalle prime settimane di occupazione il camilliano guida le sue truppe di volontari nell’edificio di Città Studi con un fornito apparato logistico di soccorsi. Assi, attrezzi da lavoro, mattoni e tegole per riparare i tetti, le finestre, le porte. Pentoloni di pastasciutta e sacchi di pane per rendere un po’ di giustizia allo stomaco. Materassi e coperte per dimenticare gli scatoloni.
In breve l’amico dei barboni diventa anche il leader infaticabile e premuroso di cascina Rosa. Tutti gli immigrati imparano a conoscere e ad apprezzare il frate con la croce rossa che soffre e suda con loro senza imporre nulla e senza pretendere niente in cambio.
Qualcuno, anche all’interno della Giunta comunale, arriva a chiedersi se è giusto che il camilliano fornisca aiuta ai protagonisti di un’occupazione abusiva altri lanciano le solite accuse di solidarietà opportunista e di forzato proselitismo religioso. Nulla di più falso. Tra i quattrocento extracomunitari, tutti musulmani, nessuno si lamenterà mai per non richiesti tentativi di evangelizzazione da parte di fratel Ettore.
Anzi, nel settembre ’90, dopo il secondo sgombero della cascina di Largo Murani – il primo nell’ottobre dell’anno precedente da parte della vigilanza urbana non aveva sortito gli effetti sperati dal Comune visto che nel giro di pochi giorni la cascina era stata rioccupata – il portavoce degli extracomunitari, riconosce che «il più attento ai nostri problemi, l’unico che ha sempre dato una mano in modo disinteressato, è stato fratel Ettore».
[…]Nei locali della casa occupata i volontari di una delle associazione più politicizzate si imbattono nei volontari di fratel Ettore che già da settimane hanno organizzato la macchina dei soccorsi, ripulito i locali, sistemato al meglio qualche decina di brande. Con le assi, gli attrezzi di lavoro e gli altri materiali indispensabili il camilliano ha voluto anche un segno della sua presenza. Un grande quadro di San Camillo che ha subito appeso al cancello della cascina. Nessun tentativo di proselitismo, soltanto un simbolo per indicare che là dentro si tenta di alleviare la sofferenza con le stesse armi impiegate cinque secoli fa dal Santo abruzzese: amore, carità, dedizione totale di sé. I musulmano hanno capito che hanno dato il loro benvenuto anche a San Camillo.
[…]«Ho in tasca il lascia passare dei miei superiori. Mi hanno detto: “Ettore, fai quello che devi fare”. E la mia missione è qui, tra questa gente, a lottare e a soffrire con loro. A gridare al mondo dei potenti quando è grama ed impossibile la loro vita. Questa gente sta peggio dei cani. Gli animali hanno cliniche specializzate, canili e veterinari che si occupano di loro. Trattiamo questi fratelli almeno come i cani».
Parole dure, sferzanti, senza compromessi. Come la vita di trincea che il camilliano ha scelto di donare agli ultimi. Non solo barboni, non solo ammalati psichici, non solo immigrati.
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