Nella sua Enciclica “Deus caritas est” (cfr. n. 40), Papa Benedetto XVI annovera Camillo de Lellis tra i “modelli insigni di carità sociale”, additandolo ad esempio per tutti gli uomini di buona volontà. A buona ragione Camillo merita di essere preso a modello, in particolare per il contributo che egli ha dato, nel campo umano, allo sviluppo della assistenza agli ammalati, tanto da essere definito da Benedetto XIV nel decreto di canonizzazione “iniziatore di una nuova scuola di carità”.
Toccato dalla miserevole condizione in cui versavano i malati ricoverati negli ospedali, Camillo decise di dare vita “ad una compagnia di homini dabbene”, che si prendessero cura dei malati, motivati semplicemente dall’ardore apostolico. Il suo zelo fu tale da contribuire all’iniziale sviluppo della scienza infermieristica, codificando per i suoi seguaci un codice deontologico che, secoli dopo, sarà ripreso dalle moderne scienze infermieristiche.
La profonda spiritualità che mosse Camillo all’azione lo rese capace di percepire i bisogni dell’uomo malato e di animare i suoi seguaci a prendersene cura, con una attenzione che oggi viene definita “assistenza globale”. Nel fare questo, Camillo anticipa di alcuni secoli coloro che sono considerati i fondatori della teoria dell’assistenza infermieristica, un’attività che nel XVI secolo veniva imposta a coloro che dovevano scontare una pena. Camillo, perciò, non è il continuatore della tradizione millenaria della Chiesa nel campo della carità: egli ne realizza il contenuto spirituale con la attenzione e la priorità data alla persona umana. Con l’invito a prendersi cura dei malati “con lo stesso affetto che suole una madre verso l’unico figlio infermo”, Camillo non solo indica il modo di servire ma la centralità della persona del malato nella prassi dei suoi seguaci.
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