INTRODUZIONE
“Perché non ho cento braccia per servire i malati!” Tale è lo slancio premuroso che ha segnato la vita di Camillo che si è lasciato rendere segno credibile della presenza sanante dell’amore di Dio nella storia di ogni infermo al quale andava incontro. È proprio lo sguardo contemplativo di quest’attenzione di Camillo al mondo della sofferenza che è il fulcro della mia riflessione. Rispetto agli altri approcci (1) all’esempio evangelico di Camillo, intendo proporre una lettura sistematica che colga gli elementi teologici, cristologici, ecclesiologici ed escatologici della diaconia dell’amore che egli ha testimoniato. Vorrei tentare di portare alla luce la teologia vissuta da Camillo con una carica di significati teologici presente nella sua praxis caritatevole, radicata nella premura del Dio tripersonale amantissimo delle sue creature e soprattutto dell’uomo. Per “l’indagine teologica, un aiuto rilevante può venirci da quel grande patrimonio che è la «teologia vissuta» dei Santi. Essi ci offrono indicazioni preziose che consentono di accogliere più facilmente l’intuizione della fede, e ciò in forza delle particolari luci che alcuni di essi hanno ricevuto dallo Spirito Santo, o persino attraverso l’esperienza che essi stessi hanno fatto di quegli stati terribili di prova che la tradizione mistica descrive come «notte oscura». Non rare volte i Santi hanno vissuto qualcosa di simile all’esperienza di Gesù sulla croce nel paradossale intreccio di beatitudine e di dolore”. (2) La mia lettura, basata sulle fonti storiche della vita di Camillo, ha privilegiato l’analisi dei suoi scritti per lo più occasionati da esigenze pratiche: raccomandazioni di tipo infermieristico e pastorale ai suoi compagni della vigna mistica del servizio agli infermi. Il mio studio partirà da un’analisi semantica del termine “premura”, per poi mettere a fuoco il suo specifico teologico e constatarne l’aderenza al percorso spirituale di Camillo che santamente ha interpretato il valore conoscitivo dell’amore premuroso fino rendersene maestro.
APPROCCIO CONCETTUALE
Annotazioni lessicografiche (3)
Con il termine di premura si indica anzitutto la cura particolare, la sollecitudine verso qualcuno o qualcosa, determinata da amore e rispetto o da entusiasmo e spontaneamente prestata. In senso concreto significa azione o serie di operazioni compiute con assiduità e diligenza nello svolgimento di un’attività, nel perseguimento di uno scopo, è atto, manifestazione di sollecitudine o di rispetto nei confronti di qualcuno, attenzione e riguardo. Premurare è fare premura, sollecitare o darsi da fare con cura e sollecitudine nel fare qualcosa, curarsi sollecitamente di qualcosa, affrettarsi a fare; dice diligenza e urgenza nel cogliere e nel cercare di colmare il vuoto che si esprime. La premura significa in modo concreto sollecitudine, cura, attenzione, prevenzione e intuito di una necessità o di un bisogno. In questa prospettiva in cui la premura si avverte come capacità naturale o strutturale di cogliere e di soddisfare il bisogno altrui, darsi, farsi, prendersi premura significa assumersi, prendere su di sé la cura di una faccenda, l’assistenza di una persona, avere molto a cuore, darsi da fare con sollecitudine e impegno (in ordine ad una proposizione di valore finale). Si può ugualmente dare, fare, mettere premura cioè raccomandare, insistere, sollecitare. È premuroso chi è capace di un atteggiamento che esprime ed è segno di cura e sollecitudine per qualcuno: sguardo, espressione, gesto affettuoso e cordiale. È premuroso chi dimostra cura e sollecitudine per qualcuno o qualcosa, chi ha preciso o urgente desiderio di fare o di ottenere qualcosa, chi è sollecito, vivamente interessato: chi è pieno di premure e di attenzioni è riguardoso. La premura significa anche desiderio ardente, necessità bruciante cioè bisogno impellente che mette in risalto la contingenza dell’uomo ossia la sua precarietà che dice mancanza di essere e di pienezza e anche tensione sollecita verso un suo compimento in ordine all’Assoluto necessario. Questa duplice polarità della premura (mancanza e soddisfazione) è di ordine descrittivo e valutativo, perché rimanda al bisogno, alla finalità e agli scopi, ossia ad una dinamica finalistica (il dato necessario) in cui la realtà vulnerabile è sostenuta dal necessario (cioè l’amore). Nel bisogno c’è la capacità di saturazione già inserita. Come concetto dinamico, la premura è in relazione con concetti limitrofi per cui il criterio della dinamica finalistica alla quale ci rimanda, rimane il criterio trascendente. C’è una dialettica tra il bisogno e la sua soddisfazione che chiama in causa l’analogia tra l’impegno che è rischio e la dimensione trascendentale dell’uomo (la pienezza). Il rischio della premura è l’attivismo fine a sé stesso. Tenendo conto di questa bipolarità di valenza descrittiva e valutativa si può chiedersi se lo specifico della premura non si racchiuda in una spinta interiore radicata nell’amore e nel rispetto o nel riconoscimento della dignità altrui, che si esprime sia come/attraverso un bisogno impellente o sia come/attraverso la sollecitudine in ordine ad un valore. Se lo specifico della premura consiste nello slancio interiore che invade e che spinge all’agire esponendosi al rischio in vista del bene, occorre mettere a fuoco che essa presuppone una certa intenzionalità in ordine al bisogno come alla sua soddisfazione. La premura ha una duplice dimensione affettiva e operativa, da un lato è una dinamica interiore di sensibilità e dall’altro una forza di intervento che è energia e spinta verso l’altro. Essa dice allora capacità intrinseca e rimanda alla pienezza che è di ordine trascendente. È una vitalità interiore che muove verso l’altro in quanto forza dinamica che simultaneamente accende in chi la prova la consapevolezza di un nuovo modo di essere. Come attenzione nell’apertura all’alterità, la premura è operatività creativa, conoscitiva, coinvolgente e interpersonale, perché dice commozione, impegno e relazione.
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