Et servigio delli poveri infermi ancorché fussero appestati, ne bisogni corporali et spirituali, di giorno et di notte, secondo gli verrà comandato…»
È stato attraverso una simpatica dinamica di gruppo che la terminologia del servizio è entrata nella storia della avocazione camilliana. Leggiamo il Cicatteli:
«vedendo Camillo che la sua compagnia andava ogni giorno crescendo, particolarmente intendendo che molti cittadini come forestieri desideravano sapere chi loro fossero e come si chiamassero, pensò essere bene anzi necessario imporgli alcun nome per farla meglio conoscere e distinguere dalle altre congregationi. Unito dunque un giorno con tutti i suoi compagni che ancora non potevano arrivare al numero di dodici propone loro questo pensiero. I quali, dopo aver fatto molto discorso sopra ciò, spinti dalla loro gran carità verso gli infermi (che da loro erano tenuti in conto di Signori e Padroni) havevano quasi risoluto di chiamarsi li servi degli infermi. Ma, sovvenendogli poi che nella chiesa d’Iddio vi era una religione chiamata dei servi, per non creare confusione cessarono da quel parere. Ricordandosi poi Camillo che nel Santo Evangelico si faceva più volte mentione del nome di ministro, per imitare Gesù Cristo nella santa umiltà si contentarono di essere chiamati “li Ministri degli Infermi”. Col quale nome, d’alloro in poi, fu sempre chiamata la congregazione, essendosi fino a quel tempo chiamata la compagnia del p. Camillo»
Prende così rilievo il concetto – denso di modalità operative – che la cura del malato non è atto facoltativo, ma atto dovuto, e che il precetto dell’amore deve esprimersi in fatti concreti e non ridursi a parole o rimanere al livello di pura dottrina. Fa piacere osservare che il termine «servizio», cristiano a ventiquattro carati, è stato ricuperato da alcune legislazioni moderne attinenti alla sanità. La riforma italiana si intitola: Servizio sanitario nazionale, e quella canadesi qualifica come servizio le risorse cliniche esistenti all’ospedale: servizio di radiologia, di laboratorio, di medicina nucleare ecc., perfino di pastorale per quello che riguarda l’assistenza religiosa.
[…]Il concetto di servizio si sviluppa a partire dal comandamento dell’amore al prossimo, che è, assieme all’amore di Dio, il precetto base della vita cristiana. L’amore al prossimo non può ridursi a sole espressioni dottrinali, pronunciate a fior di labbra con ricchezza di argomentazioni, ma separate da un contesto di azioni concrete; deve tradursi nei fatti in opere tangibili, in comportamenti. Leggiamo in contro luce la formula di vita, e vi troveremo queste parole nel N.T. «Ciascuno di voi metta a servizio degli altri la grazi ricevuta…» (1 Pt. 4,10), si consideri «servo della comunità» (Col 1,25), «servo della nuova alleanza» (2,Or. 3,6), della giustizia (2, Cor. 11,15), «di Cristo» (2, Cor. 11,23 ss.). Chi esercita un ufficio (chiaro riferimento al servizio diaconale, su base volontaristica, (vedi At 6,1 ss), «lo compia con l’energia ricevuta da Dio» (1 Pt. 4,11). Vi leggeremo anche l’attitudine fondamentale del Cristo. Egli «non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mt. 20,28). Non è l’uomo del comando, ma della comunione; non del dissociamento delle persone, ma dello stato di servizio, per alleviare le difficoltà e far circolare in tutti lo sguardo di Dio, «tutto in tutti» (1 Cor 15,28); non per far scomparire ogni diversità, ma perché lo spirito di Dio d’amore circoli nelle vicende di ognuno o in tutte le esperienze umane.
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