«Vivere solamente a Gesù Crocifisso…»
«Abbia per gran guadagno morire per il crocifisso Cristo Gesù Signore nostro…»
Il crocifisso è un riferimento costante nella vita di San Camillo. Leggiamo nel Cicatelli: « Con loro (i primi confratelli che lo seguirono) dunque cominciò Camillo ad aggregarsi ogni giorno in una stanza del medesimo hospitale ridotta da essi in forma di oratorio. Dove havendosi drizzato un altare e postovi un crocifisso di rilievo fatto a spese d’alcuni loro devoti, faceano l’oratione mentale, la disciplina… e faceva loro Camillo alcun ragionamento spirituale…» (Cicatelli, p. 52-54).
Quel crocifisso è un emblema. Costretto a disfare l’oratorio, Camillo se lo porta nella stanza, ed è qui che a lui abbattuto e deciso a lasciare perdere di fronte alla tenace opposizione del Consiglio di amministrazione, parve di vedere il medesimo S.mo Crocifisso che muovendo la sacrantissima testa gli faceva animo consolandolo et confirmadolo nel buon proposito d’instituire la compagnia, parendo a lui che gli dicesse: «Non temere pusillanimo, camina avanti ch’io t’aiuterò e cavarò gran frutto da questa prohibitione». Era un sogno, ma da esso «Camillo si ritirò il più contento e consolato huomo del mondo» (ib. p.5).
Più tardi confiderà ad un confratello: «Quel Cristo» ha fondato la religione, perché nelli disturbi et persecutioni della fondatione di questa pianticella (intendendo la religione) se ne saria perso un cor di leone, non che un miserabile come sono io…. (ib., p.299):
Ai suoi religiosi, Camillo non chiede di amare Gesù Crocifisso, o di fare delle novene in suo onore, o meditare sui suoi dolore, ma di vivere a Gesù Crocifisso, e considerare un guadagno morire per Gesù Crocifisso. Qualcosa di molto più interiore e coinvolgente.
Il rapporto col crocifisso non si attenua sui mezzi toni, su semplici livelli devozionali o su pratiche pie anche sincere. Si richiede di più: vivere e morire per il crocifisso: assimilare la sua persona, identificarsi a lui, lavorare per lui fino alla morte.
Nella meditazione precedente, l’impegno del religioso si esprimeva sul versante della rinuncia e dell’essere morti a tutto, oggi sulla edificazione di una personalità diversa, che ha per modello e stimolo il crocifisso morto e risorto. All’uomo vecchio si sostituisce l’uomo nuovo.
«Se siamo totalmente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con una risurrezione simile alla sua. Una cosa sappiamo di certo: quel che eravamo prima ora è stato crocifisso col Cristo, per distruggere la nostra natura peccaminosa e liberarci dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo con lui» (Rom 6,5-9). Modellando la nostra condotta su questa dottrina, il vivere a Gesù Crocifisso ci apre a delle attitudini contrassegnate dalle leggi dello spirito, e queste a loro volta discoprono ai nostri occhi gli orizzonti della trascendenza. Il quadro di riferimento non è quello della sapienza umana, ma della sapienza misteriosa di Dio. Ai fedeli di Corinto, la città dei due mari, dei grandi commerci, degli empori internazionali, delle grandi scuole filosofiche, e anche del bel vivere, senza troppe limitazioni morali, Paolo ricorda: «Noi predichiamo Cristo crocifisso» (1 Cor 1,23). Poteva sembra una follia, un assurdo intellettuale. Ma nel Cristo crocifisso egli vedeva l’antitesi e la contraddizione di un mondo senza Dio in piena deriva morale.
Questa stessa fede nella croce portava Camillo all’accettazione di tutte le forme di sofferenza connesse col suo ruolo profetico di lottatore contro l’ingiustizia e la mancanza di amore, e, come via verso la risurrezione, affinava la sua sensibilità per la situazione degli emarginati e dei malati. Gli dava il coraggio di opporsi al male in tutte le sue forme in nome di quella speranza responsabile e solidale che deriva dalla croce.
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