Di Alessandro Pronzato in Missione Salute N. 2/2019
Talora s’incontrano cristiani che protestano: “io non sento proprio il bisogno di andare a pregare in chiesa. A quale scopo? Preferisco sbrigarmela da solo, a tu per tu con Dio. Gli altri non c’entrano. E invece, c’entrano.
Il credente vive la sua esperienza di fede in un tessuto comunitari. Essere cristiano significa far parte di u popolo, appartenere a una famiglia. Col battesimo io vengo inserito nella Chiesa che è un “comunità orante”.
Non ho ancora dato nulla, non ho fatto nulla. Eppure, subito, ricevo.
Prima ancora che io ne diventi consapevole, partecipo della preghiera degli altri. Vengo nutrito, mi sviluppo, grazie alla preghiera della comunità. Ossia, viene il momento in cui anch’io devo recare il mio apporto per questa ricchezza di famiglia. Diventare adulto significa portare il proprio contributo perché tutti abbiano di che vivere.
La mano vuota serve per afferrare quella dell’altro.
L’evangelista Matteo presenta l’esigenza proclamata da Cristo di pregare nel segreto (6,6), registra anche un’altra indicazione del maestro, che non possiamo trascurare e che è inserita nel “discorso comunitario”: “In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve lo concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (18,19-20). La comunità, riunita nel nome di Gesù, realizza la sua presenza sopra la terra, diventa tempio vivo, luogo della sua dimora.
Per le necessità della vita quotidiana, andiamo al mercato. Ognuno scegli i prodotti che gli occorrono, e poi si presenta alla casa. C’è una fila. Ma ciascuno trascina il proprio carrello e mette mano al proprio portafoglio. Qui, invece, si fa un’esperienza diversa. Ci si raduna, si chiede insieme, e si riceve insieme. Le mani devono essere vuote e stringere quelle degli altri. Ogni cosa viene concessa all’insegna della più assoluta gratuità.
Resta soltanto da osservare che lo stare insieme nella preghiera, al di là delle cose che si possono ottenere, vuol esprimere una realtà ancora più importante: dal momento che intendiamo rimanere attaccati al Padre, restiamo attaccati tra di noi. Una frattura in senso orizzontale crea una spaccatura anche in senso verticale. Quindi la preghiera comune manifesta la volontà di rimanere in comunione.
Certo, risulta fondamentale quell’indicazione: “si accorderanno”. Prima dell’esecuzione di un brano musicale, si accordano gli strumenti. Nella preghiera non ci si può limitare a sintonizzare le voce, compiere gli stessi gesti, assumere le stesse posizioni esteriori. È il cuore che va sintonizzato.
L’essenziale, per la preghiera, è l’accordo, mettere il cuore in armonia con quello dell’altro. La preghiera stonata, e che quindi non raggiunge il Padre, anche se l’esecuzione risulta perfetta da un punto di vista formale, è quella dove qualche cuore batte rifiutando l’altro, mantenendo le distanze, conservando risentimenti o amarezza.
Le note più pericolose, non sono quelle che si avvertono all’esterno, ma quelle che si producono dentro, in profondità. E spengono la preghiera, le impediscono di nascere, non sono altro che il non amore. La nota giusta non è un fatto estetico. È questione di fraternità.
Non si tratta di scegliere tra orazione “nel segreto” e preghiera comune. L’esperienza cristiana non è mai “o….o”, ma “e….e”. io non posso fare a meno dell’uno e dell’altro tipo di preghiera. Perché sono individuo, con un volto unico, un nome unico, che deve stabilire una relazione d’amore unico con Dio.
Ma sono anche un “essere comunionale” (nessun uomo è un’isola), inserito in un tessuto comunitario, solidare con gli altri, corresponsabile, sono figlio, ma anche fratello.
Preghiera personale o comunitaria?
Quindi le due forme di preghiera esprimono precisamente questa duplice dimensione (originalità e partecipazione).
Preghiera personale e preghiera comunitaria, lungi dall’essere in opposizione, risultano complementari. Anzi, l’una ha bisogno dell’altra, rafforza l’altra.
Quanto più io vivo fino in fondo le esigenze della preghiera comune, tanto più scopro l’esigenza del rapporto personale, “irripetibile” con Dio. E se comprendo veramente le esigenze della preghiera comune, questa mi fa avvertire, prepotente, il bisogno della preghiera a tu per tu col Padre (che resta, in ogni caso, “nostro”).
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