Alessandro si è lasciato divorare dall’oggetto del suo desiderio; è diventato uno con colui che voleva conoscere ed amare: il Cristo crocifisso. È diventato uno con coloro che voleva comprendere e servire con tanto ardore: i malati. E l’umiltà con la quale egli voleva servire costoro l’ha condotto all’annientamento nella sofferenza.
Alessandro non solo ha frequentato la grande scuola dei servitori dei malati, ma ci ha anche lasciato una scuola. Tutti coloro che hanno avuto l’occasione di avvicinarlo hanno potuto sentire il camilliano che ama e che soffre con coloro che soffrono.
Alessandro ha voluto fare della sua sofferenza un’offerta d’amore e di ringraziamento: “Anche qui in ospedale rinnovo per te il mio amore e il mio ringraziamento. Tu mi hai manifestato abbastanza il tuo amore…”.
Nonostante avesse dei progetti, delle ambizioni, malgrado la sua impetuosità, P. Alessandro non ha voluto chiedere a Dio nient’altro che fare la sua volontà, neppure la grazia della guarigione. Egli così pregava il 10 settembre 1992: “Maria, prima della salute del mio corpo, se è volontà di Dio, donami la serenità spirituale. Che i miei mali fisici ti siano un dono gradito. Desidererei riavere la salute, ma non te la chiedo se è volontà di Dio che io porti questo male per tutta la vita. Tuttavia concedimi la guarigione dell’anima, una vita conforme ai miei voti e per me sarà tutto“.
Alessandro ha voluto lasciarci l’immagine di un testimone di Cristo nella sofferenza. Egli ha chiesto questa grazia a Dio per intercessione del nostro padre fondatore il giorno della sua festa: “San Camillo, in questo giorno di festa prega per me, per la mia salute, quella di mio padre, per quella di tutti coloro che soffrono. Ti chiedo la grazia di testimoniare Cristo nelle mie sofferenze (14.07.96).
Il cuore di P. Alessandro bruciava d’amore per Gesù Cristo; ha voluto fare della sua sofferenza un’offerta d’amore a Gesù fino al punto che poteva dire: “Sarebbe una cosa strana se un cristiano non potesse mai dire: Gesù ti offro tali sofferenze per amor tuo! Poiché come dice P. Pio: Gesù non sta mai senza la croce, ma la croce non sta mai senza Gesù”.
Posso testimoniare che Gesù era veramente con lui nella sua sofferenza altrimenti non mi spiego una tale forza (di carattere); neppure una volta l’ho visto versare una lacrima e pertanto Dio solo sa come soffriva. Nella sua sofferenza egli voleva fare sempre uno sforzo. Per esempio per alzarsi dal letto ha sempre insistito per farlo da solo: se era coricato io lo aiutavo a mettersi seduto sul letto e lui si aiutava con le sue mani. E ciò fino all’ultimo istante quando le forze lo hanno abbandonato del tutto.
Nei suoi momenti di delirio si esprimeva in prima persona plurale (alcune volte in stato di piena coscienza), particolarmente nell’ultima notte, dopo aver detto qualche parola delirante, rinvenuto in se stesso mi disse: “Henri, non credere che io sia diventato pazzo; alcune volte ripeto certe parole così…”. Le parole di chi ripeteva se non quelle di Colui che soffriva con Alessandro?
La configurazione più grande al Cristo sofferente che ho potuto vedere in lui, è stata ancora in quell’ultima notte dell’8 Dicembre, nella quale aveva una sete terribile. Avevo appena finito di preparare una medicina di P. Cesar (un padre bianco che curava con delle erbe) che doveva bere. Mi chiedevo come fare affinché egli bevesse questa medicina dal momento che non voleva bere più acqua per come aveva il ventre teso. Ebbene, con mia grande sorpresa lui, che non desiderava bere, terminò il litro d’acqua e ne chiedeva ancora, tanto era l’arsura. A questo punto dovevo impedirgli di bere troppo e provai soltanto a bagnargli le labbra secche, ma ciò non colmava la sua sete. Quel volto tormentato dalla sete non era che il volto di Cristo in croce che chiedeva di bere dicendo: “Ho sete!”.
Egli ha vissuto nella sua carne ciò che celebrava sull’altare del Signore. Si è consumato nell’amore di Colui che voleva servire nei malati. Queste due affermazioni sono per me due realtà che trovano la loro conferma in due segni:
Il Vescovo che l’ha introdotto nella famiglia sacerdotale conferendogli il diaconato è lo stesso che accolse l’offerta del suo corpo in questa stessa Chiesa (Villa Sacra Famiglia) l’11.12.96.
Il nostro Padre Generale che ricevette la sua professione perpetua è lo stesso che l’aspettava a migliaia di Km, nella Chiesa S. Camillo di Ouagadougou per ricevere il suo corpo donato definitivamente e per sempre per il servizio dei malati.
Questi due episodi sono lontani dall’essere dei fatti casuali. Essi traducono il compimento di ciò che per lui significava la consacrazione religiosa.
È il messaggio che P. Alessandro ci lascia. Per tutto ciò vogliamo offrire l’Eucaristia in ringraziamento a Dio Padre, per Gesù Cristo, nello Spirito Santo per ciò che è stata la vita di P. Alessandro Toè.
Dall’alto del cielo, che egli continui a pregare per noi come lui pregava per noi nel suo cuore già su questa terra. Amen!
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