Virginia Coda Nunziante, portavoce e organizzatrice della manifestazione, parla del grande evento – giunto ormai alla quinta edizione – che raduna nel cuore di Roma il mondo pro-life italiano per dire il suo “si” alla vita, dal concepimento fino alla morte naturale.
Gli attacchi alla vita umana innocente sono sempre più numerosi, anche in Italia, dove da oltre trent’anni una legge dello Stato consente di ricorrere all’aborto. La “Marcia per la Vita” è il segno dell’esistenza di un popolo che non si arrende e vuole far prevalere i diritti di chi non ha voce sulla logia dell’utilitarismo e dell’individualismo esasperato.
«Come avviene in tante capitali del mondo, da Washington a Madrid, da Bruxelles a Parigi, marciamo nel centro della Cristianità e nel cuore delle Istituzioni del nostro Paese con l’obiettivo di dire “sì” alla vita senza compromessi, dal concepimento alla morte naturale». Con queste parole, Virginia Coda Nunziante, portavoce della “Marcia per la Vita”, ha presentato l’iniziativa che avrà luogo il prossimo 100 maggio a Roma, manifestazione inaugurata nel 2011 e giunta alla quinta edizione le abbiamo rivolto alcune domande sul significato della “marcia”.
Cosa significa «dire sì alla vita senza compromessi»?
«Vuol dire che non siamo disponibili, in quanto apostoli della vita, laici e credenti, a dire sì a leggi che violano la sacralità della vita umana. Una di queste leggi è la numero 194 del 1978, che ha concorso a garantire l’uccisione di 6 milioni di vite umane dalla sua applicazione. Ci proponiamo di diffondere conoscenza e verità su questo fatto, innanzitutto, che è negato da quella cultura così diffusa che – come sosteneva San Giovanni Paolo II – intende trasformare un delitto in un diritto.»
Si è giunti alla 5° edizione dell’iniziativa: cosa avete ottenuto finora?
«Il nostro più grande successo è stato quello di radunare negli anni, per le strade di Roma, decine di migliaia di persone: donne, uomini, famiglie intere con i loro bambini, che sfilano festanti e gioiosi sotto le bandiere della vita. Mai, nella storia del nostro Paese, si era prodotta una così grande partecipazione pro-life, che testimonia che anche in Italia è possibile emulare le grandi Marce popolare che si svolgono nel mondo. La politica, le Istituzioni, la società civile non possono non tenere conto del fatto che questo popolo vuol far sentire la sua voce e indicare che esiste un’alternativa praticabile a quella del massacro della vita umana»
Nell’ultima edizione, le presenze non italiane sono state numerose. Perché?
«Affermare la cultura della vita è divenuta un’esigenza globale. Viviamo in un continente, l’Europa, dove non nascono più bambini e dove, in base alle statistiche, si consuma un aborto ogni 25 secondi. Le società non muoiono a causa delle crisi economiche, ma per venire meno dei principi sui quali sono state costruite. Attraversiamo questa fase della storia dell’umanità ed per questa ragione che diventa necessario diffondere nel maggior numero di Paese questa consapevolezza».
Papa Francesco apprezza il vostro impegno?
«Il Papa ha rivolto negli ultimi due anni dei calorosi messaggi alla Marcia. Più volte è intervenuto sul tema dell’aborto. Ad esempio, il 15 novembre dell’anno scorso, parlando ai medici cattolici, ha detto: “La felicità al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza”. L’aborto non è un problema religioso, né filosofico, ma “è un problema scientifico, perché lì è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema… nel pensiero antico, nel pensiero moderno, la parola uccidere ha lo stesso significato!”. Analogo discorso vale per l’eutanasia: “Tutti sappiamo”, ha affermato il papa, “che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta…. E questo è come dire a Dio: No, la fine della vita la faccio come io voglio”. Papa Francesco ha concluso il suo discorso citando San Camillo de Lellis che, nel suggerire il metodo più efficace nella cura del malto, diceva semplicemente: “Più cuore nelle mani”. Quello di San Camillo era un invito rivolto a chi curava i malati, ma che si può legittimamente estendere a tutti, perché rispettino la sacralità della vita umana».
Alberto Zelger
Presidente del MEVD Movimento Europeo per la Difesa della Vita e della Dignità Umana
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