Gli ultimi anni
Nel 1948 il Signore ricompensa le lacrime e le preghiere di Maria Aristea con la conversione del marito Igino, che muore – certamente riconciliato – il 30 gennaio 1964. Nel 1968 alle altre sofferenze, si aggiunge, purtroppo l’idropisia con un notevole peggioramento cardiaco. Non potendo uscire da casa, le persone si recavano nella sua abitazione. Riceveva ogni giorno la Santa Comunione: questa le veniva portata dai religiosi camilliani della vicina parrocchia di San Camillo in via Sallustiana (Roma), i quali celebravano spesso l’Eucaristia a casa sua. Al ringraziamento dopo una delle ultime sante Messe celebrate in camera sua, Aristea disse, come se parlasse a se stessa e ad intervalli: «Ora devo andare … abbiamo finito di soffrire … non vi abbandonerò!». La situazione fisica si aggravò, i suoi figli spirituali l’assistevano amorevolmente. Le forze calarono rapidamente e Aristea venne a trovarsi in uno stato di semi-coscienza: alcune volte riconosceva chi l’andava a trovare altre no.
Si addormentò nel Signore, in fama di santità, alle ore 23.25 del 24 dicembre 1971, nello stesso giorno in cui, era morto il suo confessore e guida spirituale, p. Giuseppe Bini. Era la vigilia di Natale, la festa che tanto amava. I funerali furono celebrati nella Basilica parrocchiale di San Camillo, presieduti dal p. Vincenzo Cardone, che per anni era stato fortemente a contatto con lei. Numeroso fu il concorso di popolo, testimonianza sicura della sua santità.
In una lettera del 24 febbraio 1927, indirizzata a Umberto Muollo, ammalato di tubercolosi, aveva scritto: «Che cos’è ogni terrena sofferenza se sapremo volare, e rifugiarci fra quelle misteriose regioni ove solo si respira purezza e candore? Non importa spasimare e morire se nella morte noi troveremo la vita, la luce, l’amore!».
Fu sepolta nel cimitero del Verano, nella Cappella dei Religiosi Camilliani. Da lì il 17 maggio 1972 fu traslata nella Chiesa di San Camillo, dove riposa tutt’ora. La sua tomba è meta di pellegrinaggio e fonte di miracoli. Miracoli, non solo fisici ma anche spirituali: numerose persone quotidianamente visitano la sua sepoltura e in molti si affidano alla sua intercessione per ottenere speciali grazie, consolazione, sostegno, vicinanza … affetto e amore. Innumerevoli i segni di santità attribuiti all’intercessione della Serva di Dio.
Il camilliano p. Onorio Zeppa, ci offre un quadro interessante per motivare il rivolgersi a lei da parte di tante persone: «Quello che particolarmente mi colpiva della Serva di Dio era proprio la sua vita che oserei definire carismatica: non era come gli altri, anche se viveva una vita semplicissima e ordinaria in tutto. Ma il fascino che emanava si capiva che veniva da un altro mondo, quello di Dio alla cui presenza ella sempre viveva».
Il 28 aprile 1998 il Cardinale Vicario di Roma, Camillo Ruini, ha emanato il decreto di introduzione della causa di beatificazione e il 29 maggio è stato dato avvio all’inchiesta diocesana, che si è conclusa il 29 settembre 2006, con relativo decreto, il 7 dicembre 2007, di validità giuridica.
La mistica della quotidianità
Si può parlare anche per Aristea di vita mistica? Certamente! Aristea ci insegna che la santità non è, dunque, privilegio dei monaci, degli eremiti, delle claustrali, dei sacerdoti. Sposarsi non significa dover rinunciare alla santità. Significa, invece, accogliere il dono del “matrimonio – sacramento” e tendere alla santità con lo stile proprio della coppia. La vita, pur semplice e povera, di Aristea ha toccato vette altissime di comunione col Signore. Vette di intima famigliarità. Scriveva nel suo quadernetto: «O Gesù, io non so leggere, sono tanto ignorante da non comprendere nulla, ma io intendo di unirmi alla Chiesa, di dirti e di farti tutto ciò che la Chiesa ti dice e ti fa in ogni ricorrenza, in ogni solennità». Si può essere mistici nella vita di coppia? Nella vita laicale? Nella vita di padri e madri di famiglia? La risposta è affermativa, perché questi sono ambiti che fanno da banco di prova di un laicato adulto: un laicato vissuto nella ferialità delle situazioni, nei dolori e negli affanni della vita; un laicato di speranza, capace di intravedere il passaggio di Dio anche nelle situazioni più disparate; un laicato che come Aristea faccia proprie le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono (cfr. Gaudium et Spes, 1).
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