Di p. Stefano de Fiores
Il mio discorso è rivolto principalmente agli operatori in campo medico ed ospedaliero, ogni giorno a contatto con persone malate. Un mondo degno del più profondo rispetto e se crediamo al capitolo 25 di Matteo, un ambiente non facile se prendiamo atto che presso i malati sono più importanti il silenzio e il servizio che le parole.
Non si tratta qui di inserire la figura di Maria nel “pianeta dolore”. Per i cristiani è spontaneo rivolgersi alla Madre di Gesù, in quanto ha sofferto nella sua esistenza terrena ed è pronta ad intercedere per la salute dei suoi figli o per la santificazione della sofferenza. La pietà popolare e la nostra stessa esperienza documentano la spontaneità e la fede con cui i malti considerano Maria un “tu” vivente e si affidano alla sua intercessione.
Penso a tante donne dei paesi del meridione che hanno la stanza tappezzata di santini o tengono sul comodino una lampada dinanzi ad un0immagine di Maria ed alle fotografie dei propri defunti. Essi si rivolgono alla Madre di Gesù e le parlano come a persona viva con semplicità e fiducia soprattutto nella sofferenza e nelle difficoltà.
Il problema consiste nell’imbastire un discorso valido che sia in grado di supere il fossato tra pietà popolare e la teologia. Questo stesso problema si era posto a suo tempo il fondatore della mariologia sistematica Francesco Suarez (1617), convinto che “la pietà senza verità è debole, mentre la verità senza pietà è sterile e vuota”. Infatti, alla devozione popolare non corrisponde un’indagine teologica approfondita sul rapporto tra Maria e la salvezza, tra lei e la salute.
I due suggestivi titoli mariani di “icona di salvezza e madre della salute”, che costituiscono il tema del presente discorso su Maria, offrono l’opportunità di affrontare con nuovo impegno questo lavoro studiando il loro significa teologico.
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