Appunti di un maestro dei novizi sul momento favorevole di vocazioni sacerdotali e religiose in Africa
Ogni anno nel mese di febbraio lasciamo la casa di Karungu, nella diocesi di Homa Bay, ed andiamo ad abitare al St. Camillus Seminary di Nairobi. Perché? Perché ogni pomeriggio sia i novizi che il loro maestro si recano a Karen, un borgo situato nella periferia sud di Nairobi, per prendere parte ai corsi inter-congregazionali di formazione. Tre ore di istruzione su temi differenti di genere biblico, pastorale, psicologico. Fino a qui niente di speciale. Tali corsi vengono offerti ovunque e fanno parte del training moderno di ogni novizio o novizia in qualsiasi diocesi del mondo. Il punto che voglio mettere in luce qui è invece l’afflusso di formandi, vale a dire il numero di novizie e di novizi che prendono parte a questi corsi. Quest’anno a Nairobi hanno preso parte al corso di febbraio 356 novizi, provenienti da 39 congregazioni. Per essere precisi è necessario dire che la maggior parte erano novizie, appartenenti al primo anno (canonico) di noviziato o al secondo anno di noviziato. Il numero dei novizi (uomini) era di molto inferiore a quello delle novizie per due motivi: primo, perché le vocazioni religiose femminili in Africa sono molto maggiori di quelle maschili; secondo, perchè i noviziati maschili hanno maggiori possibilità pratiche di offrire i corsi di istruzione – anche specifica – nelle loro sedi.
Da quanto detto bisogna notare che i 365 formandi che hanno preso parte al corso non rappresentano il numero completo dei novizi e novizie presenti in Nairobi, e tantomeno in Kenya, perché – come detto – molti non prendono parte ai corsi intercongregazionali. Tali corsi vengono offerti tre volte l’anno: nel mese di febbraio, nel mese di maggio e nel mese di ottobre. Ognuno di questi tre mesi offre un programma diverso che si protrae per la durata di due anni per un totale di sei mesi di insegnamento. Noi Camilliani prendiamo parte ad un mese all’anno, in febbraio; il resto della formazione viene svolto in sede, cioè nella nostra casa di noviziato a Karungu.
Titolo provocatorio
Il titolo provocatorio di questo articolo mi è sorto a seguito della vista della folla di novizie e novizi che ogni pomeriggio si radunano per ricevere istruzione e per interagire tra di loro. Appena giunti al luogo dell’incontro, vedendo un’infinità di pullmini che si arrabattano per trovare un parcheggio e lo scendere di centinaia di giovani che sfoggiano abiti religiosi della più diverse forme e colori che si avviano verso la sala conferenze mi è sorta la domanda: “Ma non si dice da tempo che non ci sono più vocazioni religiose?”. All’apparire di tale scena non si direbbe proprio che non ci siano più vocazioni religiose! O meglio, è vero che non ci sono quasi più vocazioni, ma questo vale per l’Europa o per il mondo occidentale. Non certamente per l’Africa e, credo, per molte parti dell’Asia.
Qui in Kenya si sta assistendo a quello che succedeva in Italia negli anni 50 e 60, prima e durante il Concilio Vaticani II, gli anni in cui anch’io sono entrato in seminario (correva l’anno 1962!). Allora i seminari – sia i seminari diocesani, che quelli religiosi, che i conventi di suore – erano affollati, anche se non tutti quelli che entravano abbracciavano poi il sacerdozio o la vita religiosa. Anche allora non mancavano le defezioni, per cui dopo i primi anni di discernimento molti giovani in formazione imboccavano altre strade di vita.
Il Signore chiama ancora?
In Africa è ancora più o meno così. Non sempre, anche qui, le motivazioni per la scelta vocazionale sono chiare e genuine. Per cui molti giovani entrano in seminario, ma molti anche ne escono. Tuttavia un buon numero riesce a giungere a compimento attraverso la consacrazione sacerdotale o l’appartenenza ad una congregazione religiosa. L’importante è riconoscere che il Signore chiama ancora alla sequela Christi. Egli continua a chiamare operai a lavorare nella sua messe, anche se sono cambiate geograficamente le zone di chiamata. Ci auguriamo che la presente ricchezza di vocazioni in terra africana continui sia in termini di quantità che di qualità. Non lasciamo perdere l’occasione. È necessario far sorgere un impegno di collaborazione reciproca tra le fortunate diocesi africane e le meno fortunate diocesi occidentali. Le prime mettano a disposizione le loro risorse umane – sacerdoti, religiose, religiosi – mentre le seconde supportino i soggetti in formazione con aiuti finanziari e logistici. Iniziative che del resto sono già in atto, infatti non è raro vedere parrocchie italiane rette da sacerdoti africani, o cappellanie ospedaliere con cappellani di colore, o asili coadiuvati da religiose africane.
Nel frattempo non stanchiamoci di pregare per le vocazioni – anche se in Africa non mancano – poiché la messe è ancora molta, troppa!
p. Paolo Guarise MI
I Camilliani su Facebook
I Camilliani su Twitter
I Camilliani su Instagram