Quegli uomini volevano riconoscere le tracce di Dio. Erano convinti che i cieli annunciano la grandezza di Dio e che Dio può essere visto nel creato. Erano convinti che non chi cerca con un cannocchiale qualsiasi, ma soprattutto chi usa il cannocchiale del cuore, del suo desiderio di Dio mosso dalla fede, può trovarlo ed è in grado di avvicinarsi a lui. Il mondo non è soltanto un prodotto del caso, come molte teorie ci vogliono far credere. Tramite esso si intravede qualcosa di più: il discernimento del creatore, l’infinita e inesauribile fantasia di Dio, l’amore con cui egli ha preparato questo mondo per noi. Oggi non dovremmo lasciarci ottundere la mente da teorie che possono arrivare soltanto fino a un certo punto e che – a ben guardare – non sono affatto in concorrenza con la fede. Non possiamo fare a meno di vedere nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità la razionalità eterna, e non possiamo fare a meno di lasciarci sempre di nuovo condurre da essa all’unico Dio, creatore del cielo e della terra. Se faremo ciò, constateremo anche che colui che ha creato il mondo e colui che è nato a Betlemme e nell’Eucaristia dimora in mezzo a noi sono lo stesso Dio vivente che ci chiama e che ci vuole preparare per la vita eterna.
Così, con i Magi, si è avverata per la prima volta la parola che poi si realizzerà sempre più lungo tutti i secoli: verranno da Oriente e Occidente, da Nord e da Sud, e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe.
Ciò significa non solo che i cristiani, i chiamati da Dio, verranno da tutti i punti cardinali, ma anche che i segnavia conducono a Dio da qualsiasi provenienza spirituale, dalla scienza, dalle religioni. E che in ogni cuore umano è impressa quella stessa che alla fine arriva a Betlemme e che ci indica che lì c’è colui che tutte le cose attendono nella pace.
Ma ecco che ora quegli uomini arrivano a Gerusalemme, e sopra la grande città la stella si spegne, non è più visibile. Che significa? Certo a quel tempo Gerusalemme non era illuminata come oggi lo è Roma, e le luci della città non avrebbero di sicuro nascosto le stelle. In questo caso abbiamo a che fare con qualcosa di diverso e più profondo. Quegli uomini avevano considerato ovvio che il nuovo re sarebbe nato nel palazzo reale. Avevano considerato ovvio che il nuovo re, che era la saggezza e la fonte di ogni conoscenza, si sarebbe dovuto trovare là dove si trovavano gli eruditi. Ma dovettero constatare che nei luoghi del potere e della cultura il neonato non era rintracciabile, anche se lì venivano fornite loro informazioni su di lui. Dovettero riconoscere che Dio è molto diverso da come se l’erano immaginato, che non si trova affatto dove c’è il potere di questo mondo e che neppure si fa rintracciare nella scienza o nella teologia. Dovettero anzi riconoscere che il potere, anche il potere della conoscenza, speso gli sbarra la strada. Dovettero cambiare il loro modo di pensare e di vedere le cose, lasciare che la loro stessa esistenza mutasse. Dovettero recarsi a Betlemme, la piccola città che anticamente era una delle meno importanti in Israele, ma che da allora in poi non lo sarebbe mai più stata. E anche lì dovettero andare a far visita agli immigrati, ai più poveri, per rintracciare il re del mondo. Dovettero riconoscere che i criteri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini, che Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma si rivolge a noi in modo del tutto differente: nell’umiltà del suo amore, che solo può chiedere alla nostra libertà di accoglierlo, trasformandoci e facendoci così diventare capaci di arrivare a lui.
Neppure per noi le cose sono diverse da come lo erano per i Magi. Se dovessimo esprimere la nostra opinione sul modo in cui Dio avrebbe dovuto redimere il mondo, diremmo che avrebbe dovuto eliminare con il suo potere le cose come sono adesso e instaurare con precisione scientifica un sistema economico mondiale più giusto, in modo che tutti potessero avere tutto ciò che desideravano. Questo è il nostro modo di pensare.
In realtà si tratterebbe di una violenza operata sull’uomo e di un’alienazione, perché in questo modo nell’uomo verrebbero meno proprio le sue caratteristiche autentiche. Infatti né la nostra libertà né il nostro amore sarebbero chiamati in causa. Per questo la potenza di Dio deve manifestarsi in maniera differente: a Betlemme, nell’umile impotenza del suo amore. Là noi andiamo, là è la stella. Chiediamo al Signore che ci conceda di continuare a vivere questo processo di trasformazione che nella vita non ha mai fine. Che impariamo a conoscere in modo sempre nuovo quest’altro Dio, che troviamo il coraggio di liberarci delle nostre fantasie e dei nostri sogni e che cerchiamo questo coraggio nell’umiltà della fede.
Appare così evidente il secondo aspetto relativo ai fatti accaduti a Gerusalemme: il linguaggio del creato e i simboli delle religioni permettono di percorrere un buon tratto di strada, ma non danno l’illuminazione definitiva. Alla fine i Magi hanno avuto bisogno della voce della Sacra Scrittura. In fondo soltanto essa poteva indicare loro il cammino. La parola di Dio è la vera stella, la parola di Dio è la grande nova in cui all’improvviso, dall’incertezza del discorso degli uomini, erompe l’infinita luminosità della verità divina che ci guida. Seguiamo quella nova, la stella della parola di Dio. Se viviamo con essa nella Chiesa di Dio, in cui la parola ha piantato la sua tenda, siamo sulla retta via. Troviamo allora quella chiarezza che tutti gli altri segni non possono dare.
La festa dell’Epifania, come il Natale, ha influenzato profondamente il nostro paese con le sue usanze. Sulle porte delle nostre case scriviamo il numero dell’anno in cui stiamo vivendo e le lettere C+M+B, che stanno a significare Christus mansionem benedicat, “Cristo benedica questa nostra dimora”. Chiediamogli di abitare con noi, chiediamogli di proteggere la nostra casa e di tenere lontano da essa ogni male, ogni minaccia e rovina. Chiediamogli di spalancare la nostra casa allo spirito del vero amore, di farla diventare la casa dell’ospitalità, nella quale ci sentiamo legati da reciproco affetto. Diventiamo insieme pellegrini dell’eternità.
Ma quelle tre lettere sono anche le iniziali del nome dei tre Magi, che sono ricordati già nella prima metà del II secolo, anche se in forma un po’ diversa, e ciò sta anche a significare che vogliamo sentirci legati a quei Magi venuti dall’Oriente. Che, pur restando nelle nostre dimore e pur essendo riconoscenti per il riparo che ci offrono, vogliamo essere nomadi, pellegrini che vanno dietro alla stella. E se osserviamo bene come stanno le cose, possiamo dire che nel corso dei secoli i Magi venuti dall’Oriente sono essi stessi diventati stelle che ci guidano e ci mostrano dov’è Cristo. I santi sono come nove (stelle), sono persone che grazie a un’esplosione di luce, per virtù della parola di Dio, cominciano a irradiare lo splendore della verità divina che ci indica la strada.
Ed ecco l’ultima esortazione: il Signore vuole che anche noi diventiamo stelle, che anche in noi si verifichi quella sconvolgente esplosione della fede grazie alla quale si libera la luce che Lui ha fatto scendere su di noi, affinché troviamo la strada e diventiamo segnavia per gli altri. Questo è quanto chiediamo al Signore in questo giorno di festa.
Omelia per l’Epifania del 1994, tenuta dal cardinale Joseph Ratzinger presso la chiesa collegiata di Berchtesgaden.
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