Vi rivolgo il presente messaggio sotto forma di lettera indirizzata a San Camillo. (…) il ricordo a questo genere letterario mi permette di parlare con maggior spontaneità del nostro Fondatore. Il mio scritto vuol essere una risposta alla lettera-testamento che egli ci ha lasciato.
“Caro San Camillo, anche quest’anno in occasione della tua festa ho riletto la lettera testamento, indirizzata ai tuoi Figli il 10 luglio 1614, pochi giorni prima di morire. il fatto che tu abbia chiesto che essa venisse conservata “in perpetua memoria” indica l’importanza che le attribuivi. Un testamento, nel quale sono raccolte alcune importanti raccomandazioni ai religiosi chiamati a mantenere vivo nel tempo il carisma della carità misericordiosa verso gli infermi.
Parlando della Fondazione dell’Ordine dei Ministri degli Infermi, da te compiuta, non esiti ad attribuirla ad un intervento miracoloso del Signore. Questa affermazione è accompagnata da sentimenti di umiltà, abituali in te: “Ho detto che questa fondazione è un evidente miracolo di Dio: in particolare che si sia servito di me, gran peccatore, ignorante, pieno di tanti difetti e mancanze, degno di mille inferni. Ma Dio è il padrone, può fare quello che gli piace ed è fatto infinitamente bene. Nessuno si stupisce né che Dio abbia operato per mezzo di un tale strumento, dato che è maggior gloria sua fare cose ammirevoli servendosi i un nulla come me…”.
L’attribuire al Signore la fondazione dell’Ordine ti rende ardito nell’esigere che essa si mantenga fedele allo scopo per il quale è stato istituito: il servizio agli infermi. La preoccupazione per l’avvenire della tua opera ti fa usare parole severe, non prive di un certo allarmismo. Parlando di tutte le opposizioni interne ed esterne, suscitate dal diavolo per distruggere ciò che Dio ti aveva ispirato di compiere, sei consapevole che esse continueranno anche nel futuro. Quando affermi che lo spirito del male cercherà “tutte le strade e i mezzi possibili” per distruggere l’Ordine, sottolinei che se “non ci riuscirà sotto apparenza di male lo tenterà sotto apparenza di bene”. E continui: “In particolare potrà servirsi di alcuni religiosi di questo stesso nostro Ordine suggerendo loro, sotto apparenza di bene, che cerchino di far deviare e alterare lo scopo del nostro santo Istituto”. Concludi, poi, con una certa durezza: “… Ognuno si guardi da cosi grande sacrilegio e offesa a Dio, perché essa non caschi sopra di loro in questa vita ancor più nell’altra”.
A quasi quattro secoli di distanza dal giorno in cui hai scritto queste parole, tu puoi constatare che l’Ordine da te fondato si è mantenuto sostanzialmente fedele al carisma che gli hai trasmesso. Durante questi lunghi anni ci sono state crisi, conflitti, momentanee deviazioni. Avversità di ogni genere – da quelle politiche a quelle religiose – si sono abbattute sulla pianticella dell’Istituto, portandola fin sull’orlo dell’estinzione. Senza distruggerla, però. Non ti aveva forse garantito, il Crocifisso, che la fondazione della Compagnia delli servi poveri servi delli infermi era opera sua e non tua?
Non ci sono esitazioni nell’affermare che è stata proprio la fedeltà al servizio degli ammalati che ha aiutato i religiosi a riprendersi coraggiosamente dopo ogni bufera. Fedeltà eroica, come lo hanno dimostrato gli oltre trecento religiosi morti servendo gli appestati e le vittime di altre malattie infettive. Fedeltà creativa, attraverso un lento ma costante lavoro di aggiornamento che, in questi ultimi anni, ha portato a scoprire nuovi pozzi, allargando cosi il ventaglio delle espressioni del ministero dell’Ordine, ormai presente – come tu avevi profetizzato – in tutti i continenti. Nella nuova Costituzione possiamo avvertire il soffio dello Spirito che ha percorso la Chiesa. Come a te è toccato di mettere in pratica i dettati del Concilio di Trento, a noi spetta di fare della dottrina del Vaticano II – e del Sinodo della Vita Consacrata, che ne ha ripreso i punti essenziali – l’ispirazione e l’alimento delle nostre scelte esistenziali e caritative.
Il constatare che, per grazia di Dio, l’Ordine da te fondato si avvia con speranza ad iniziare il terzo millennio, non ci pone certamente in quello stato di stolta sicurezza, tipica di coloro che pensano di non aver più bisogno di conversione. Come non essere consapevoli dei limiti e delle lentezze che caratterizzano il nostro essere ed agire? Fortunatamente, la vita e gli avvenimenti ci offrono continuamente, spunti di riflessione che turbano salutarmente la “pace dei nostri conventi”. Alcuni di essi sono già presenti nella tua lettera. Li voglio ricordare, per farti sapere come essi risuonano in noi, dopo quattro secoli.
- Il primo concerne l’amore preferenziale verso i poveri. Si tratta di un’espressione che certamente non suona nuova al tuo orecchio e, soprattutto, al tuo cuore. Nel 1989 è stato celebrato un Capitolo generale su questo argomento. Il tema, illustrato compiutamente dall’Assemblea capitolare, è stato poi discusso in ogni comunità dell’Ordine. Ci sono stati anche frutti, identificabili non solo in un’accresciuta sensibilità verso questo tema, ma anche in concrete iniziative rivolte agli ultimi: malati di Aids, tossicodipendenti, terzomondiali, malati cronici… ringrazio il cielo per questa ventata di fervore caritativo, certamente mediata dalla tua intercessione. Essa adempie allo scopo di ricordare a tutti i religiosi impegnati legittimamente e generosamente nelle altre opere ed attività che i poveri devono occupare il primo posto nel cuore di un camilliano. Il tuo cuore di madre non pulsava, forse, in maniera tutta particolare per coloro che si trovano i margini della società, negli ospedali, nei lazzaretti, nelle strade? Osservando i poveri che “bivaccano” davanti alla Chiesa della Maddalena, non posso trattenermi dal pensare a che cosa avresti fatto tu per aiutare queste persone, abbrutite e rese violente dalla miseria. Non posso negare di avvertire un senso di vergogna…
Il pluralismo che caratterizza la pratica del ministero del nostro Ordine è certamente un’ottima formula, che ci consente di essere presenti in tutti i settori del mondo della salute. Esso, tuttavia, sarà perfetto solo quando le iniziative verso gli ultimi assumeranno almeno la stessa importanza dei nostri ospedali, case di cura, centri di formazione…
Il titolo del Capitolo generale del 1989 era: “Verso i poveri e il Terzo Mondo”. Non vi sono dubbi che l’Ordine abbia fatto dei passi in avanti per superare il nazionalismo e i vari regionalismi. In questi ultimi cinquant’anni l’espansione dell’Istituto è stata grande, portando la croce rossa in ben 20 nuovi paesi, la maggioranza dei quali sono in via di sviluppo. Questa consolante dimensione missionaria deve maggiormente rendersi visibile nella priorità dei nostri programmi, nelle scelte delle opere. Non c’è, forse, ancora troppa gente che si nutre delle briciole che cadono dalle nostre tavole?
Tu ci ha insegnato che l’amore verso i poveri e gli ammalati dev’essere accompagnato da una pratica attenta e gioiosa del voto di povertà. Le parole che hai scritto su questo argomento nella tua lettera-testamento meritano di essere ricordate: “Nel raccomandare la fedeltà alla nostra santa vocazione faccio particolare menzione al voto di povertà. A questo riguardo non voglio tralasciare di dire e ricordare a tutti i presenti e i futuri che se, com’è giusto, desideriamo che il servizio ai poveri infermi nell’ospedale – nostro fine principale – e nella raccomandazione delle anime persista e dure per sempre, dobbiamo mantenere la purezza della nostra povertà, con ogni esattezza, diligenza e buono spirito, nel modo stabilito dalle Bolle, poiché esso tanto sussisterà quanto la povertà sarà osservata alla perfezione, cioè anche nelle minime cose”.
Come rimanere indifferenti di fronte al tuo richiamo? Esso scuote il nostro stile di vita, troppo spesso lontano dagli ideali professati attraverso il voto di povertà. Quanti ricorsi a discussioni di ordine sociologico e teologico per giustificare scelte che in sé non sono giustificabili, quante razionalizzazioni! Non vi sono dubbi – e questo è il senso delle tue parole – che la sazietà materiale poco a poco finisce per attenuare il bisogno di Dio e il senso di solidarietà e di condivisione dei beni e della propria persona, ingredienti essenziali sia per la vita di comunità che per l’esercizio del nostro ministero.
In una società opulenta e consumistica, avvertiamo che il mantenerci agili, portando nei nostri bagagli solo l’essenziale è un compito che solo la grazia di Dio può concederci. Per questo ci affidiamo alla tua intercessione.
- Un secondo spunto di riflessione è costituito dalla relazione padre-fratelli. Tu ci inviti accoratamente all’unione e alla pace, ricordando che uno dei fattori che distingue il nostro Istituto dagli altri è costituito dal “fine comune tra padri e fratelli”. Ritornando sull’argomento esprimi un forte richiamo: “nessuno ardisca sia pure per qualsiasi apparenza di bene, di togliere ai fratelli quello che la Santa Sede Apostolica ha loro concesso”.
Lungo i secoli, la tua esortazione è stata per troppo tempo disattesa a causa del violento e ingiusto clericalismo imperante in tutta la Chiesa. Grandi ingiustizie sono state compiute nei confronti dei confratelli, e non tutte le ferite si sono rimarginate. Malgrado queste difficoltà l’Ordine si gloria di una stupenda galleria di religiosi fratelli.
La situazione è cambiata in meglio, come appare dalla nuova Costituzione, dove si può vedere il risultato di un lungo cammino finalizzato a proclamare la pari dignità dei padri e dei fratelli, impegnati nell’unica missione. L’Ordine è andato più avanti della Chiesa nell’affermare i diritti dei fratelli, per cui al momento presenti il dettato del Codice di diritto canonico – ancora accentuatamente clericale – c’impedisce di metter in pratica completamente quanto la Costituzione ha legiferato.
Purtroppo, la gioia per questo positivo percorso nel campo del diritto e della mentalità è offuscato dalla crisi che la figura del fratello sta vivendo a livello di tutta la Chiesa, anche nei paesi dove le vocazioni alla vita consacrata sono numerose. Il tuo grande amore per i fratelli ci aiuti a trovare la giusta strada per una rinascita.
- Una breve frase della tua lettera-testamento invita a riflettere su un terzo argomento: “Esorto tutti i religiosi presenti e futuri a non pretendere di sapere di più di quello che occorre…”. Non è facile capire a che cosa ti riferissi con queste parole. Nella interpretazione (forse un po’ aggiustata) le collego alla “questione degli studi”. Tra le molteplici “conversioni” della tua vita, una riguardava proprio il grado di cultura dei tuoi religiosi. Ad un certo momento ti sei reso conto dell’importanza che rivestono gli studi per il religioso impegnato nella cura degli infermi. Durante la storia dell’Ordine non sono mancate figure di rilievo nel campo teologico e pastorale, ma è solo ultimamente che il problema della formazione specializzata è stato affrontato dall’Istituto. Ciò ha portato ad una significativa elevazione del grado di cultura e ad un impegno più efficace in tanti settori del mondo della salute. Sono stati aperti numerosi centri di formazione pastorale, tra i quali emerge il “Camillianum”. Il Sinodo sulla Vita Consacrata e gli stessi interventi che il Santo Padre ci ha rivolto hanno sottolineato l’urgenza di unire all’insostituibile prossimità al malato un’azione efficace sulla cultura del mondo sanitario.
Noi ci rendiamo conto delle difficoltà e dei rischi che ci attendono in questo settore. Non è sempre facile coniugare il ruolo di ministero degli infermi e d’insegnante. La giusta utilizzazione delle scienze umane può conoscere delle esagerazioni fino a far perdere l’identità pastorale dei nostri programmi. Il gusto e le esigenze della gente che ci frequenta può insensibilmente portarci a quel fenomeno denunciato da Paolo, quando mette in guardi Timoteo dalla tentazione di “titillare” le orecchie dei suoi ascoltatori, impedendosi di offrire la vera dottrina.
Il tuo richiamo, quindi, rimane valido e ci aiuta a impegnarci perché questa nuova espressione del ministero camilliano, contempla e incoraggiata dalla nuova Costituzione, si sviluppi secondo l’autentico spirito del carisma dell’Istituto.
- Nella tua lettera non poteva mancare il richiamo alla santità di vita. Il 250° anniversario della tua canonizzazione rende più intenso e puntuale tale richiamo. In un primo tempo tu inviti i tuoi religiosi a camminare con “rettitudine e fedeltà” in maniera da non sotterrare “il talento così prezioso che nostro Signore ci ha posto nelle mani, perché conseguiamo la santità durante la vita e poi la vita eterna”. Più avanti, il tuo pensiero viene espresso più ampiamente: “Esorto tutti, presenti e futuri, a camminare per la strada dello spirito, cioè della vera mortificazione religiosa, se vogliamo essere quasi sicuri della nostra eterna salvezza; infatti il nostro Ordine richiede uomini perfetti, che facciano la volontà di Dio e che giungano alla perfezione e santità. Sono questi che non soltanto fanno del bene a sé stessi ma anche daranno edificazione alla santa Chiesa e a tutto il mondo. In esso si farà gran progresso e profitto per mezzo loro. Al contrario, quelli che fossero sensuali, di poco spirito religioso, immortificati rovineranno l’Ordine”.
Ciò che rende vere le tue parole è il fatto che tu le hai vissute, raggiungendo alti vertici nella perfezione della carità. Molti confratelli ti hanno seguito nella strada della santità, anche se ufficialmente solo uno è stato elevato alla gloria degli altari, il Beato Enrico Rebuschini. in questi tempi, ci giungono innumerevoli pressanti inviti ad approfondire la nostra vita spirituale, a fare del Cristo il centro della nostra esistenza, l’Assoluto. Troppi stimoli ci portano a “decentrarci”. Il segreto della tua santità è racchiuso in una espressione della Formula di vita da te redatta nel 1591: Vivere solamente a Gesù crocifisso. Tale programma diventi operativo anche per ciascuno di noi, trovando appoggio in concrete iniziative ascetiche.
- Al termine della tua lettera, tu invii “mille benedizioni: non solo ai presenti, ma anche ai futuri che sino alla fine del mondo saranno membri di questo Santo Ordine”.
Ringraziandoti per questo gesto benedicente che ci raggiunge nel profondo del cuore, ti prego di estenderlo in maniera particolare a tutta la Famiglia Camilliana allargata: le Congregazioni e gli Istituti secolari sorti durante questi secoli ispirandosi al tuo carisma, i gruppi di laici che, desiderosi di vivere la loro vita cristiana alla luce della carità misericordiosa verso gli infermi, chiedono di unirsi a noi per lo svolgimento della comune missione che tu ci hai affidato”.
Carissimi confratelli, mentre affido queste pagine alla vostra riflessione, colgo l’occasione per augurare a ciascuno di voi un sereno periodo di vacanze.
Con affetto fraterno.
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