L’ESPERIENZA DI DIO NELLA VICENDA UMANA II Parte
Relazione di Giovanni Terenghi agli aderenti alla Famiglia Camilliana Laica convenuti a Mottinello (Vicenza) il 30-31 ottobre 1999. Questa è la prima delle tre Relazioni dal programma 1999/2000: “L’esperienza spirituale di S. Camillo de Lellis”.
L’esperienza spirituale di San Camillo: la conversione
Possiamo definire l’Esperienza Spirituale come una progressiva e nuova presa di coscienza del Dio del vangelo nella presa di coscienza di se stessi. Viene alla mente l’immagine del “Castello interiore” di Teresa di Gesù, nella cui stanza più interna dimora la Trinità: ebbene, il cammino che la santa indica per l’incontro con Dio non ammette dubbi: “Portate il vostro sguardo al centro” (Mansioni I,2,8; tematica tipicamente agostiniana). E’ come se ci venisse donato un nuovo sguardo, un modo nuovo di guardare a noi stessi, mediante il quale –sorprendentemente – scopriamo anche la presenza di Dio. Come accennavamo, è l’inizio di un nuovo modo di definire se stessi, a partire dall’esperienza di un amore incondizionato; un nuovo modo di definirci, dal quale non possiamo omettere Dio, pena la negazione della nostra stessa identità.
Questo nuovo modo di vedere se stessi e Dio, è una disponibilità ad accettare noi stessi per quello che si è e a far esistere Dio per come si vuole rivelare. Un modo che inevitabilmente esige una purificazione della mente, del cuore, del desiderio, della volontà. Tra l’illusione e l’autentica esperienza di Dio, c’è dunque un passaggio obbligato: la conversione.
Ci avviciniamo dunque all’esperienza spirituale di Camillo, e lo facciamo proprio a partire dal momento della sua conversione. Tenteremo una rilettura di questo evento (puntuale, ma anche permanentemente) richiamandoci a quell’unico comandamento evangelico che ha guidato le nostre riflessioni precedenti.
“Camillo viene chiamato da Dio al suo vero conoscimento” (Vms X)
Nonostante l’agiografia presenti il fatto come un momento puntuale e datato, la conversione di Camillo è stato un processo lento, durato tutta la vita, non certo un fatto episodico di quel 2 febbraio del 1575. Dal momento infatti in cui fece l’esperienza dell’amore di Dio, Camillo venne ferito “di colpo così profondo che mentre visse poi ne portò sempre la memoria e i segnali nel cuore” (Vms 45). Limitiamoci per il momento ad alcune considerazioni di commento sul brano che narra la sua conversione.
“Chiamato al suo vero conoscimento”.
Il titolo del paragrafo presenta una certa ambiguità. “Suo conoscimento”: “suo”, di chi? Di Camillo o di Dio? La narrazione poi chiarisce la cosa: si tratta infatti dell’uno e dell’altro.
“Ingenocchiato sopra un sasso cominciò con insolito dolore, e lagrime che piovevano da gl’occhi suoi à piangere amaramente la vita passata. Dicendo…: ah misero et infelice me che gran cecità è stata la mia a non conoscere prima il mio Signore?” (Vms 46).
Camillo “porta lo sguardo al centro” di sé e lì fa la scoperta più sconcertante della sua vita: vede “le macchie e bruttezze… del suo miserabil stato” e lì vicino un Dio che lo ama comunque. Forse Camillo ha sempre ricordato quel giorno come il “giorno della sua conversione”, non certo perché da allora visse di rendita; piuttosto forse quella fu la prima volta che guardò in modo nuovo Dio, iniziò a scoprirne il vero volto, che è “sempre-oltre” i nostri schemi, le nostre idee, le nostre immagini, i nostri ideali. Dal momento in cui permise al volto di Dio di risplendere di luce propria, ne rimase invincibilmente attratto. Camillo scopre che Dio è Dio e non un uomo, che non può essere racchiuso nelle strettoie delle nostre prospettive, che è novità continua e continuamente ci sorprende…, che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri…
Il vero conoscimento “di Dio” da parte di Camillo è quello di una misericordia al di là di ogni speranza. L’ES di Camillo appare profondamente segnata da una nuova presa di coscienza (alla luce di Dio questa volta e non solo di se stesso) dei propri limiti e peccati. Viene da pensare all’arguta battuta di O. Wilde: “esperienza: il modo in cui gli uomini chiamano i propri errori”. In effetti il “suo principale esercitio [era quello di] farsi ogni giorno un pasto di pianto per i peccati della passata gioventù” (Vms 47). Il biografo sottolinea in almeno due occasioni la condizione di “una certa sorte di disperatione” (Vms 40; “mal condotto come huomo quasi disperato”: Vms 42) in cui versava Camillo. Da quel giorno invece scoprì un volto nuovo – il volto vero di Dio – per il quale valeva la pena dare un taglio definitivo al passato e iniziare una vita radicalmente nuova.
“Non più mondo, non più mondo”
E’ questo il proposito in cui condensa il programma della sua nuova vita, l’obiettivo della sua conversione. Ma che significa?
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