Niente è lasciato di intentato per offrire ai degenti
le attenzioni tese a valorizzare ogni singolo
momento della permanenza nella Struttura.
La cura della persona è di notevole importanza, soprattutto quando mira a limitare i danni provocati dalla malattia e dalle cure che ne seguono. In particolare si cerca di aiutare le degenti a curare il proprio aspetto fisico ed estetico, aiutandole a recuperare l’autostima.
Tutto è nato in un incontro casuale verificatosi all’Hospice Luigi Tezza con una giovane. Due chiacchiere sedute al tavolino e quella, col suo cappellino di un colore non colore calcato sulla fronte, il portamento ricurvo quasi a nascondersi dal mondo, che chiedeva di parlare di cose leggere. Non voleva accennare alla sua malattia o alla morte, desiderava solo trascorrere un tempo nella leggerezza.
La mia storia personale
Nei piani di assistenza non era previsto che io dovessi incontrarla, ma l’uomo progetta e Dio dispone. Così ci siamo parlate e tornando a casa al termine della giornata, il mio pensiero si è fissato su un suo desiderio difficile da realizzare in un luogo che la obbligava a confrontarsi con la morte.
Mi sono ricordata allora cosa mi faceva star bene quando il cancro era entrato nella mia vita. Ho rammentato il giorno in cui al lavoro, passandomi una mano tra i capelli, me li sono ritrovati tra le dita. Stupore e angoscia. Sapevo che sarebbe arrivato quel momento ma non mi sentivo pronta. La sera, a casa, avevo sperato che non ne cadessero più… Un disastro! Ho versato qualche lacrima poi, guardandomi allo specchio, con un rasoio li ho tagliati tutti. Ero io che dovevo tagliarli e non il mio cancro a rubarseli. Ma come facevo a dirlo a mio figlio, un ragazzino di quattordici anni? Mi sono messa un turbante colorato, sono andata da lui e ho detto: «Mi sono tagliata i capelli». Lui mi ha guardata e ha continuato a fare quello che stava facendo, ferendomi un po’ con la sua indifferenza. Però non mi ha mai visto rasata, perché ho sempre indossato un turbante o una parrucca, Le terapie ti entrano dentro e travolgono tutto quello che incontrano lasciandosi dietro un corpo simile a un campo di battaglia. Nausea, vomito, dolori, perdi capelli, peli, sopracciglia, la pelle cambia colore e lo specchio ti mostra un corpo che non conosci. Ogni giorno ti svegli con quel sapore terribile in bocca e sai che devi andare in guerra. Così mi alzavo e mi truccavo nel tentativo di ritrovare un’immagine familiare. Fard, ombretto e parrucca, ogni giorno diversa, per dire al mio cancro che non mi aveva sconfitta. Io potevo ancora ridere sorridere. Ho capito presto che il sorriso era l’unica arma su cui potevo contare. Così anche nei momenti più bui non ho mai smesso di sorridere.
Il valore di un sorriso
Ritornando alla giovane ospite ho notato che non sorrideva, così ho pensato che avrei potuto aiutarla a farla sentire di nuovo bella, diversa da come si vedeva. Ho preso una valigia e l’ho riempita di tutte le mie cose: parrucche, turbanti, sciarpe, foulard, creme profumate l’ho portata in Hospice. Con la psicologa e l’équipe avevamo progettato un pomeriggio di coccole e lei aveva accettato.
Quando l’ho accompagnata nella stanza allestita per lei, la sua gioia è stata evidente, tutto è stato spontaneo; come una bambina ha scelto di provare tutto lasciandosi coccolare. Una crema profumata, un trucco leggero e il sorriso è spuntato di nuovo sul suo bellissimo viso. Abbiamo scattato tante foto. Ricordo con emozione la sua gioia, una felicità che usciva da tutti i pori della pelle. Sono tornata in Hospice altre volte a truccarla, le ho lasciato una parrucca acquistata per lei, le ho portato le foto di quel pomeriggio e lei guardandole mi ha detto: «È bella, ma non sono io». Poi ne ha scelta una, dicendomi che l’avrebbe voluta sulla sua tomba.
Per lei oramai era troppo tardi, non sono riuscita a fare molto, si era già chiusa nel suo bozzolo e nemmeno il vedersi carina l’ha aiutata a relazionarsi con gli altri e con se stessa. Nondimeno, ho potuto intuire come la cura del corpo ed il recupero di una parvenza della bellezza andata, avesse svolto un importante ruolo nella sua lotta contro una malattia devastante. Me ne sono accorta solo più tardi quando – ormai prossima alla fine – la giovane aveva scelto per il suo necrologio una delle foto scattate durante il trattamento: questo mi ha fatto capire che davvero quei sorrisi erano stati importanti per lei e che almeno uno le era rimasto nel cuore.
Elisabetta Poggi
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