San Camillo de Lellis
Tratto dal libro: RITRATTI DI SANTI di Antonio Sicari ed. Jaca Book
L’assistenza sanitaria
Nel XVI secolo, i malati erano in mano a dei mercenari; alcuni, delinquenti costretti a quel lavoro con forza, altri, per non aver diversa possibilità di guadagno.
Un cronista del ‘600 così descrive la vita nelle corsie dell’Ospedale: “Erano forzati… a servirsi, per così dire, della feccia del mondo cioè de Ministri ignoranti, banditi o inquisiti d’alcun delitto, confinandoli per penitenza e castigo dentro li suddetti luoghi… Almeno certa cosa era che li poveri agonizzanti stavano allora o tre giorni interi, stentando e penando nelle loro penose agonie se ch’alcuno mai gli dicesse una pur minima parola di consolatione o conforto…”
Non sono esagerazioni, perché riscontri simili abbiamo da altri ospedali.
Quando Camillo e i suoi cominceranno a lavorare nell’ospedale maggiore di Milano (la “Ca’ granda”) troveranno che i luoghi di degenza sono in tale stato che Camillo li considera “causa di morte”: “Iddio sa quanti ne morirono l’anno per questo andare a quelli sporchi, fetosi e fangosi lochi! “.
Dirigente all’Ospedale S. Giacomo – Roma
Di nuovo agli ” Incurabili “, Camillo era ormai noto per la sua conversione. Ben presto lo nominarono Maestro di Casa, cioè responsabile immediato dell’andamento economico ed organizzativo. Cominciò a mettere ordine.
Notte e giorno, era solito comparire e quando nessuno se lo aspettava, richiamando, rimproverando e costringendo ognuno a fare il suo lavoro e a farlo bene.
Controllava gli acquisti, litigava con i mercanti, rimandava indietro le partite di merce avariata.
Senza sosta, esortava gli inservienti e spiegava loro che: “I poveri infermi sono pupilla et cuore di Dio et… quello che facevano alli detti poverelli era fatto allo stesso Dio“.
Uomini nuovi per una assistenza nuova
Un pensiero fisso lo ossessionava: sostituire tutti i mercenari con persone disposte a stare coi malati solo per amore.
Desiderava avere con sé gente che “non per mercede, ma volontariamente e per amore d’Iddio gli servissero con quell’ amorevolezza che sogliono fare le madri verso i propri figli infermi“. Questo era il progetto. Resolo manifesto, destò subito preoccupazione. Ci fu chi temette che interessi e abitudini sarebbero stati messi in discussione; altri sospettarono che Camillo avrebbe finito con l’impadronirsi dell’ospedale; altri ancora – pur ben ispirati – considerarono il progetto irrealizzabile.
Osteggiato, Camillo ed i suoi compagni lasciarono l’ospedale degli “Incurabili” dove ormai non li volevano più e si ritrovarono in una poverissima casetta dove non avevano che due coperte in tre, e la notte dovevano fare a turno per coprirsi. Cominciarono così la loro libera attività nel grande ospedale romano di Santo Spirito.
All’ospedale Santo Spirito
Era il glorioso Hospitium Apostolorum, l’ospedale voluto direttamente dal Papa Innocenzo III nel ‘200 e da lui affidato ai religiosi di S. Spirito.
Sisto IV, il Papa della Cappella Sistina, rinnovò l’ospedale con una tale magnificenza da riproporre almeno idealmente il valore originario: “Culto d’amore dovuto a Cristo, Dio e uomo, ammalato nei poveri“.
Purtroppo, assieme alla fede grande della Chiesa, anche in questo ospedale era visibile la sua miseria terrena.
Gli uomini si mostravano di fatto indegni di quella solenne struttura: il problema dei mercenari era simile a quello degli altri ospedali, i problemi igienici e il sudiciume umiliavano notevolmente quello splendore, e l’auspicato volontariato si tramutava in disordine
Continua – L’eredità –
I Camilliani su Facebook
I Camilliani su Twitter
I Camilliani su Instagram