Breve riflessione di p. Giandomenico Mucci, gesuita, redattore della storica rivista “Civiltà Cattolica”
Tratto da La civiltà cattolica, Nicola d’Onofrio. Un religioso studente di oggi, 17 Marzo 2001 Anno 152 3618
Alcuni anni fa, Divo Barsotti ricordava che in ogni condizione sociale, sacerdoti e religiosi, sposati e celibi, operai e professionisti, monache e casalinghe, il cristiano ha come impegno primario la sua santificazione, ossia le virtù teologali, la contemplazione, la preghiera. Le opere, ogni opera, vengono dopo. Perché la «santità è il “gusto” specifico della vita cristiana» e «in questo senso i santi sono il sale della terra». Da molto tempo, la situazione storica nella quale viviamo fa sorgere una tacita invocazione alla santità dalle più diverse sponde, da semplici e disorientati credenti a von Balthasar a Benedetto Croce. Recentemente, in un Documento rivolto a tutta la Chiesa, ne ha nuovamente parlato il Santo Padre.
Richiamando un testo del Vaticano II sulla pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità, il Papa scrive: «Ricordare questa verità elementare e farne il fondamento della programmazione pastorale all’inizio del nuovo millennio, potrebbe a prima vista sembrare qualcosa di poco operativo. Si può “programmare” la santità? Che cosa può significare questa parola nella logica di un piano pastorale^ in realtà, porre la programmazione pastorale sotto il segno della santità è una scelta carica di conseguenze.
Ciò significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo fa veramente entrare nella santità di Dio mediante l’inserzione in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso contentarsi di una vita mediocre vissuta sotto il segno di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale». Il cristiano è chiamato alla santità, le cui vie sono molteplici secondo la vocazione specifica di ciascuno. «È tempo di porre di nuovo a tutti, con convinzione, questo “alto grado” della vita cristiana e ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve andare in questa direzione. È tuttavia evidente che i percorsi della santità sono personali ed esigono una vera pedagogia della santità che sia capace di adattarsi ai ritmi delle persone. […]. Per questa pedagogia della santità, occorre un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera».
Nel Documento, il Santo Padre rinnova la sua fiducia nei giovani, dei quali conosce «i problemi e le fragilità che li caratterizzano nella società contemporanea», sicchè non mancano coloro che manifestano nei loro confronti «una certa tendenza al pessimismo». Del numero di costoro non è il Papa. Egli non soltanto è convinto che i giovani risponderanno volentieri al messaggio di Gesù, pur con le sue esigenze, se verrà loro adeguatamente proposto come il segreto della vera libertà e della gioia profonda del cuore. Ma, ribadendo l’importanza della teologia e della spiritualità della comunione e, perciò stesso, la necessità che si applichino in ogni Chiesa gli istituti giuridici da essa ispirati, esorta all’esercizio sempre più vasto del dialogo che si estende a ogni membro della Chiesa. E cita graziosamente un passo della Regola di San Benedetto, nel quale si invita l’abate del monastero a consultare anche i più giovani, «perché spesso al più giovane il Signore rivela ciò che è meglio». A noi pare che l’intera esistenza di Nicola d’Onofrio, in tutte le sue tappe, sia per tutti un valido incoraggiamento sulla via della santità e, specialmente per i giovani, egli sia un fraterno compagno di viaggio, perché il Signore gli concesso di conoscere quod melius est
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