Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXIX Giornata Mondiale del Malato [11 febbraio 2021]
A cura del Centro Camilliano di Pastorale della Salute di Bogotá – Colombia
Riflettiamo sul messaggio di Papa Francesco per la XXIX Giornata Mondiale del Malato, approfondendo alcune espressioni.
Servire significa prendersi cura delle nostre famiglie, della nostra società, della nostra gente.
In questo impegno, ciascuno può mettere da parte le proprie ricerche, ansie, desideri di onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili. Il servizio guarda sempre il volto del sofferente, tocca la sua carne, sente la sua vicinanza e addirittura in alcuni casi la “soffre” e ne cerca la guarigione (cfr. 3) …si lascia coinvolgere nella sofferenza del fratello sofferente fino a prenderla su di sé attraverso il servizio (cfr. Lc 10, 30-35) (cfr. 1).
Il Papa ci ricorda anche i comportamenti del Buon Samaritano: fermarsi, ascoltare e stabilire una relazione empatica con l’altro (cfr. 1).
Fermarsi: fermarsi, trovare tempo e spazio nelle nostre faccende quotidiane e nelle nostre carriere in corso, non passare oltre, essere pronti a cambiare l’agenda, non rimanere indifferenti.
Per avvicinarsi: (di persona o virtualmente) ascoltare, capire, condividere, accompagnare. Questo “avvicinamento” richiede di lasciare il proprio mondo, le proprie preoccupazioni e i propri interessi, di superare tutte le distanze, di fare proprie le necessità dei fratelli e di guarire attraverso solidarietà.
Donarsi: farsi carico, prendersi cura, farsi prossimo, fasciare le ferite, accogliere il fratello nel proprio cuore; essere una compagna silenziosa e amorosa, una presenza materna, quella della Chiesa, che avvolge con tenerezza e fortifica il cuore (cfr. Salvifici doloris 28 e 29; Documento di Aparecida 420).
La vicinanza è un balsamo che offre sostegno e conforto a chi soffre nella malattia (cfr. 3).
L’esperienza della malattia ci fa sentire la nostra vulnerabilità e, allo stesso tempo, il bisogno innato dell’aiutare il prossimo. La vicinanza, espressione dell’amore di Gesù, è un balsamo capace di guarire le ferite e di accogliere i fratelli più deboli che hanno bisogno di ascolto, compagnia e consolazione; un sorriso che infonde speranza e una preghiera che aiuta a recuperare forza, fiducia e serenità.
Questa vicinanza ci permette di avvicinarci al mistero della sofferenza con dolcezza e rispetto, non per spiegarlo, ma per testimoniare la presenza del Signore che ama, è solidale e accompagna.
È l’atteggiamento che incarna i valori evangelici della compassione, “essere misericordiosi come il Padre”, l’amore, il dono di sé e la gioia nel servizio; è una presenza discreta, come il lievito e la pasta, il sale e la luce in mezzo a situazioni di sofferenza, malattia e angoscia, dando ragione della nostra speranza.
“Voglio una Chiesa che guarisca le ferite”, ci ripete Papa Francesco. “Quante testimonianze di carità potremmo citare nella storia della Chiesa! Santi che hanno trasformato tutta la loro vita in servizio al prossimo” (Deus Caritas est 40).
Il malato vuole trovare in noi il posto privilegiato che ha trovato in Gesù: atteggiamenti, gesti, parole di guarigione: “…da lui usciva una potenza che guariva tutti” (Lc 6,19).
Nella fedeltà a Gesù non possiamo trascurare il nostro compito di guarigione: “E li mandò ad annunciare il Regno e a guarire” (Lc 9,2; 10,9). Il Signore ci invita a riscoprire la dimensione curativa dell’evangelizzazione.
Gesù collega strettamente la predicazione missionaria e il compito di guarigione dei discepoli. Tutti dovremmo sentirci chiamati ad essere guaritori feriti dalla nostra missione: comunicare la salute attraverso il nostro modo di essere e vivere la fede, promuovere il Regno di Dio che è il Regno della pace e della giustizia, della vita e della salute.
“Stabilire un patto di fiducia e di rispetto reciproco tra la persona malata e i professionisti della salute, … per fornire una salute olistica e integrale” (cf 4).
Quanto è «da buon samaritano» la professione del medico, o dell’infermiera, o altre simili! …. siamo inclini a pensare qui piuttosto ad una vocazione, che non semplicemente ad una professione. pensando a tutti quegli uomini, che con la loro scienza e la loro capacità rendono molteplici servizi al prossimo sofferente, non possiamo esimerci dal rivolgere al loro indirizzo parole di riconoscimento e di gratitudine” (Salvifici doloris 29).
Le guarigioni operate da Gesù non sono gesti magici ma sono l’esito di un profondo incontro personale. È molto importante agire insieme ai professionisti della salute, sostenendoli e accompagnandoli nel loro processo di formazione, umanizzazione e rafforzamento dei valori umani ed etici.
Incontrare l’altro significa ascoltarlo e accoglierlo nelle sue preoccupazioni, speranze, difficoltà, nella sua storia, nelle sue paure, nelle sue angosce; stabilire con lui una relazione fraterna e offrirgli una salute integrale che soddisfi le sue necessità fisiche, emotive, intellettuali, sociali e spirituali.
Benedetto XVI ci insegna che la competenza professionale da sola non basta. Gli esseri umani hanno bisogno di qualcosa di più di una cura tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità, di cure cordiali. Soprattutto hanno bisogno di una “formazione del cuore” (Deus Caritas est 31a).
Da qui l’importanza di prendere coscienza di ciò che la persona vive quando è malata, delle sue reazioni e dei suoi sentimenti, e questo è ciò che si chiede in un patto di rispetto reciproco, di fiducia. Altrimenti non sarà possibile stabilire un’adeguata relazione di guarigione con chi soffre.
“Un cuore che vede”, ci suggerisce Benedetto XVI. “Il cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce di conseguenza” (Deus Caritas est 31b).
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