Una “donna qualunque” Germana Sommaruga non era davvero: per l’intelligenza, per la cultura e, in modo specialissimo, per la sensibilità e i doni spirituali di cui il Signore l’aveva arricchita. Si può affermare che natura e Grazia in lei si sono espresse in modo notevole, malgrado, e al di là delle sue debolezze, limiti, fatiche, riservatezza… .
Eppure lei sempre si definiva, si sentiva e viveva da “donna qualunque”, non per una forma di sciocca umiltà, ma perché il suo punto di riferimento, il suo termine di paragone non erano le altre creature, ma l’Uomo Gesù, l’unico vero uomo, fonte di Speranza. E su questa Speranza Germana ha veramente fondato ogni scelta della sua vita, con la passione dell’innamorata, con la sofferenza dell’inadeguatezza, con la pazienza di chi conosce la fatica del credere.
Forse solo in questa ottica si possono leggere le contraddizioni della sua personalità. Aristocratica di nascita e nel comportamento, era di intelligenza vivacissima, aperta su tutto. Sempre composta, timida e riservata, orso – diceva 1ei -, si apriva a chiunque con dolcezza, intuizione del cuore, attenzione vera, per cui l’altro si sentiva l’unico suo interesse: raggiungeva ognuno con un biglietto che rompeva la solitudine, una parola che incoraggiava, uno sguardo che accoglieva. Spingeva ognuno ad andare “oltre”, suggeriva e sosteneva nuove idee, aperture, slanci e al tempo stesso capiva debolezze e povertà.
Tormentata da dubbi di fede, da domande sul dolore, dalla sofferenza per il male e l’ingiustizia che la complessità dell’animo umano provoca, ma anche per l’infedeltà o la scarsa lungimiranza di qualcuno che vive mediocremente dopo aver donato la sua vita per il servizio della Chiesa.
Scrive Germana:
“La sofferenza può avere significato solo se interroghiamo la fede, anche se il mistero più profondo rimane, infatti Cristo ha dato un senso al dolore che in Lui e con Lui può trasformarsi in offerta, ma rimane il mistero della sua passione redentrice, a cui ogni umano patimento si associa per diventare corredenzione. Allora la sofferenza ha un senso se impariamo a volgere lo sguardo più oltre e più in altro, se cioè abbiamo presente il mistero pasquale di Cristo: dalla passione alla resurrezione”
La sua risposta era mettersi in silenzio e amore di fronte all’infinito Amore, rimettendo tutto il cammino suo e del mondo nelle mani del Padre, con la fiducia e l’abbandono che non elimina l’angoscia, ma le dà il senso del limite umano a comprendere.
Scrive in una sua poesia:
Io sono come una foglia, Signore,
una foglia sono, secca,
che la Tua rugiada notturna
imperla all’alba.
Una foglia
caduta dal Tuo ramo vivo
nel solco di terra rimossa
per diventare, in essa, terra.
E Tu l’imperli di rugiada al primo sole!
Poco possiamo dire della sua vita intima col Signore, di cui non parlava e che solo a volte trapelava da lampi poetici o frasi estemporanee: la sua fu una preghiera scarna, fedele e assidua. Scrive in un’altra poesia: Nella rosea conca delle mani protese, l’acqua riflette il cielo. Perché Tu ti disseti, Signore, nel tuo cammino terreno verso la mia povertà che spera, geme, canta, offre.
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