Mons. Mario Delpini
Arcivescovo di Milano
Carissimi,
avevamo immaginato un’altra Pasqua e anche quanto ho scritto per il tempo pasquale proponeva attenzioni più consuete. Mi sembra giusto riproporre lo stesso testo inserito nella proposta pastorale La
situazione è occasione, anche se si rivela fuori contesto.
Desidero però accompagnarlo condividendo qualche riflessione per vivere la Pasqua di quest’anno, segnata dal drammatico impatto dell’epidemia e da tante forme di testimonianza di fede, di speranza, di
generosità, e da tante forme di angoscia, di paura, di smarrimento.
Non pensavamo che la morte fosse così vicina
Noi, vivi, sani, impegnati in molte cose siamo abituati a pensare alla morte come a un evento così lontano, così estraneo, così riservato ad altri: ci sembra persino un’espressione di cattivo gusto quando si insinua l’idea che possa riguardare anche noi, e proprio adesso. Io non so quante siano le persone che muoiono a Milano nei tempi “normali”. Adesso però i numeri impressionano, anche perché tra quei numeri c’è sempre qualcuno che conosco. La morte è diventata vicina, interessa le persone che mi sono care, i confratelli, le presenze quotidiane negli ambienti del lavoro, del riposo. Ogni volta che si parla di un ricovero, ogni volta che si dice: «Si è aggravato» si è subito indotti a pensare che l’esito sia fatale, tanto la morte è vicina, visita ogni parte della città e del Paese. E ogni volta che si avverte un malessere, una tosse che non guarisce, un brivido di paura e di smarrimento percorre la schiena. La morte vicina suscita domande che sono più ferite che questioni da discutere.
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