In copertina mosaico della natività in Di Santa Maria della basilica della chiesa in Trastevere
«Mentre si trovavano in quel luogo [Betlemme], si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio». (Lc 2,6s)
Cominciamo il nostro commento dalle ultime parole di questo passo: per loro non c’era posto nell’alloggio. La meditazione, nella fede, di tali parole ha trovato in quest’affermazione un parallelismo interiore con la parola, ricca di contenuto profondo, del Prologo di san Giovanni: «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv, 1,11). Per il Salvatore del mondo, per Colui, in vista del quale tutte le cose sono state create (cfr Col 1,16), non c’è posto. «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Colui che è stato crocifisso fuori della porta della città è anche nato fuori della porta della città.
Questo deve farci pensare, deve rimandarci al rovesciamento di valori che vi è nella figura di Gesù Cristo, nel suo messaggio. Fin dalla nascita Egli non appartiene a quell’ambiente che, secondo il mondo, è importante e potente. Ma proprio quest’uomo irrilevante e senza potere si rivela come il veramente Potente, come Colui dal quale, alla fine, dipende tutto. Fa quindi parte del diventare cristiani l’uscire dall’ambito di ciò che tutti pensano e vogliono, dai criteri dominanti, per entrare ella luce della verità sul nostro essere e, con questa luce raggiungere la via giusta.
Maria pose il suo bimbo neonato in una mangiatoia
Da ciò si è dedotto con ragione che Gesù è nato in una stalla, in un ambiente poco accogliente – si sarebbe tentati di dire: indegno – che comunque offriva la necessaria riservatezza per l’evento santo. Nella regione intorno a Betlemme, si usano da sempre grotte come stalla.
Già in Giustino martire ed in Origine troviamo la tradizione secondo cui il luogo della nascita di Gesù sarebbe stata una grotta, che i cristiani in Palestina indicavano. Il fatto che Roma, dopo l’espulsione dei Giudei dalla Terra Santa nel II secolo, abbia trasformato la grotta in un luogo di culto a Tammuz – Adone, intendendo evidentemente sopprimere la memoria culturale dei cristiani, conferma l’antichità del luogo di culto e mostra anche la sua importanza nella valutazione romana. Spesso le tradizioni locali sono un fonte più attendibile che le notizie scritte.
Maria avvolse il bimbo in fasce
Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto in fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato. (…) Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare.
Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo moneto, appare quasi sconveniente, ma, esaminato in modo più attento, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo – come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini.
Diede alla luce il suo figlio primogenito. Che cosa significa?
Il primogenito non è necessariamente il primo di una serie successiva. La parola «primogenito» non rimanda ad una numerazione che procede (…) La teologia paolina, in due tappe, ha sviluppato il pensiero circa Gesù quale primogenito. Nella Lettera ai Romani, Paolo chiama Gesù «il primogenito tra i molti fratelli» (8,29): da Risorto, Egli è ora in modo nuovo «primogenito» e al contempo l’inizio di una moltitudine di fratelli. Nella nuova nascita della Risurrezione, Gesù non è più soltanto il primo secondo la dignità, ma è Colui che inaugura una nuova umanità. Dopo l’avvenuto abbattimento della porta ferrea della morte, sono ora in molti a potervi passare insieme con Lui: tutti colore che nel Battesimo sono morti e risorti con Lui.
Nella Lettera ai Colossesi, questo pensiero viene ancora allargato: Cristo viene chiamato il «primogenito di tutta la creazione» (…) il concetto di primogenitura acquisisce una dimensione cosmica. (…)
In Luca non si parla di tutto ciò, ma per i lettori posteriori del suo Vangelo – per noi – sulla povera mangiatoia nella grotta di Betlemme sta già questo splendore cosmico: qui il vero primogenito dell’universo è entrato in mezzo a noi.
C’erano in quella regione alcune pastori….
«C’erano in quella regione alcune pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,8s). I primi testimoni del grande evento sono pastori che vegliano. Si è riflettuto molto su quale significato possa avere il fatto che proprio dei pastori abbiano ricevuto per primi il messaggio. Mi sembra che non sia necessario investire troppo acume in tale questione. Gesù nacque fuori della città in un ambiente in cui tutt’intorno vi erano pascoli in cui i pastori portavano i loro greggi. Era quindi normale che essi in quanto i più vicini all’evento, venissero chiamati per primi alla mangiatoia.
Naturalmente si può subito sviluppare il pensiero: forse non soltanto esteriormente, ma anche interiormente essi vivevano più vicini all’evento che non i cittadini, i quali dormivano tranquillamente. Anche interiormente non erano lontani dal Dio fattosi bambino. Collima con questo il fatto che appartenevano ai poveri, alle anime semplici, che Gesù avrebbe benedetto, perché soprattutto ad esse è riservato l’accesso al mistero di Dio (cfr Lc 10,21s). Essi rappresentano i poveri di Israele, i poveri in generale: i destinatari privilegiati dell’amore di Dio.
Essi furono presi da grande timore
L’angelo, però, dissipa il loro timore e annuncia loro «un grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10). Viene loro detto che, come segno, avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoria.
«E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del [suo] compiacimento» (Lc 2,12-14). L’evangelista dice che gli angeli «parlano». Ma per i cristiani era chiaro fin dall’inizio che il parlare degli angeli è un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia da loro annunciata si fa percettibilmente presente. E così, da quell’ora in poi, il canto di lode degli angeli non è mai più cessato. Continua attraverso i secoli in sempre nuove forme e nella celebrazione del Natale di Gesù risuona sempre in modo nuovo. Si può ben comprendere che il semplice popolo dei credenti abbia poi sentito cantare anche i pastori, e, fino ad oggi, nella Notte Santa, si unisca alle loro melodie, esprimendo col canto la grande gioia che da allora sino alla fine dei tempi a tutti è donata.
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