Calisto Vendrame
Bucchianico, 1998
“La comunità religiosa non è un semplice agglomerato di cristiani in cerca della perfezione personale“(La vita fraterna in comunità, 2).
Nella nostra Costituzione (ndr. Camilliani), il capitolo della comunità viene prima dei voti e del ministero. La comunità è anzitutto concepita come comunione di persone. Ha come modello la Trinità e la comunità della chiesa apostolica.
La comunità degli atti e la comunità religiosa
La nostra nuova costituzione fa precedere il capitolo sulla comunità a quello sui consigli evangelici, sul ministero e sulla vita spirituale, perché ritiene che tutti questi valori devono essere vissuti a partire da una comunione di persone che si amano nella carità dello Spirito Santo. Quel capitolo vuol essere una versione attuale della comunità apostolica e della prima comunità camilliana. Ecco l’opportunità di alcune riflessioni sulle “fonti“, in una rilettura che tenga conto dei nuovi appelli ai quali la comunità religiosa di oggi deve mantenersi aperta e che ci aiuti a situarci nella prospettiva della nostra tradizione.
La comunità degli Atti
La comunità come era vissuta dalla Chiesa primitiva ed è descritta negli Atti degli Apostoli, fu indicata ufficialmente dal Vaticano II come modello della comunità religiosa (Perfectae Catitatis, 15). Anche la nostra costituzione fa riferimento esplicito agli “Atti “e afferma che la nostra comunità fraterna si costruisce sull’esempio della Chiesa apostolica.
La comunità pasquale e pentecostale degli Atti che si riunisce “in Cristo” va capita a partire dalla comunità evangelica pre-pasquale che si riuniva “con Gesù”.
Dai Vangeli, come abbiamo visto, risulta che molti di quelli che rimanevano colpiti dalla parola e dalla persona di Gesù si andavano organizzando in un gruppo molto eterogeneo attorno alla persona del Maestro e lo seguivano più o meno da vicino.
Possiamo distinguere:
* gente del popolo che lo seguiva quanto poteva, attratta dai miracoli e dalle parole che davano un senso nuovo alla vita;
* peccatori e le peccatrici che in lui sentivano rinascere una nuova speranza e cercavano un gesto personale di perdono;
* un gruppo di donne che lo seguivano e lo servivano con i loro beni (Cf Lc 8,2-3; Mc 15, 40-41; Mt 27, 55-56);
* i discepoli propriamente detti che approfondivano il loro impegno nella sequela di Gesù, abbandonando beni e professione (Cf Mt 8, 19-23);
* i discepoli mandati a preparare la strada a Gesù in ogni città e luogo ove stava per recarsi. Dovevano curare gli infermi e annunciare la venuta del Regno di Dio (Cf Lc 10, 1-11);
* il gruppo più ristretto dei dodici, identificati in tutto e per tutto con la missione e il destino del Maestro (Cf Mt 10,1-4; Mc 3,13-19; Lc 6, 12-16).
Particolarmente illuminante è Mc 3, 14-15: furono costituiti per stare con lui e per essere inviati. Abbiamo già qui i due assi di ogni comunità che si vuole cristiana: la koinonìa e la diakonìa (comunione e servizio).
Esisteva già tra i rabbini l’istituzione del “discepolato ” che esigeva la sequela del rabbi. I discepoli imparavano nella convivenza con il maestro, seguendolo dappertutto e mettendosi al suo servizio. La grande differenza è che mentre i discepoli del rabbino avevano per scopo la conoscenza e l’osservanza perfetta della legge per divenire poi essi stessi rabbini autonomi con tutti gli onori connessi, i discepoli di Gesù si proponevano di scoprire il mistero della sua persona, conoscere il disegno di salvezza, assumere la missione e il destino del Maestro rimanendo sempre discepoli, perché uno solo è il Maestro (Cf Mt 10,22-25; 11,25-27; 13,11.16-17; 16,13-17.21; Gv 1,18.39.55; 2,11; 6,68-69; 13,12-17; 15,4-17.21; 17,3).
Come Gesù che, in profonda comunione con Dio, fu uomo per gli altri, un uomo senza potere, senza denaro, senza famiglia, forte soltanto della forza della verità, dell’amore, della giustizia; così anche i chiamati a vivere nella sua sequela dovevano vivere nella più radicale adesione a lui, in comunione e a servizio, liberi da legami di famiglia, di beni e dal potere.
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