Il parroco, don Miranda: «L’esperienza dà già frutti. Presto una Consulta di pastorale della salute»
Inconfondibili, grazie alla rossa croce disegnata sul loro abito, quattro religiosi e due suore dell’Ordine dei ministri degli infermi, dal 22 al 27 febbraio, hanno percorso le stradine di Faibano, frazione di Marigliano, e sono entrati nelle case degli ammalati per portare speranza e conforto. Conosciuti come camilliani, dal nome del loro fondatore, San Camillo de’ Lellis, i sei missionari non erano soli. Ad accompagnarli c’erano infatti alcuni ministri straordinari della comunione della parrocchia faibanese intitolata a San Giovanni Battista e guidata da don Vincenzo Miranda.
Don Miranda, com’è nato il desiderio di una Missione popolare guidata dai padri Camilliani? Tante volte, da pastore, mi son recato nelle case e negli ospedali a far visita a dei miei parrocchiani, ma quando son stato in ospedale – nel novembre scorso, per un delicato intervento – ho ricevuto la visita dei religiosi camilliani e, con loro, ho potuto sperimentare anche l’altra posizione, cioè quella dell’ammalato che viene visitato. Non solo.
Pur nella diversità dei carismi, attraverso la conoscenza reciproca ho potuto vivere, con loro, una fraternità sacerdotale fatta di scambi di esperienze pastorali, ma anche di condivisione del ministero: attraverso confessioni, celebrazioni e sacramento dell’Unzione degli infermi, ho potuto continuare a
vivere il mio ministero anche durante il ricovero in ospedale.
Vivendo tale esperienza e approfondendo il carisma del loro fondatore San Camillo de’ Lellis, mi son sentito toccato ancora una volta dalla grazia di Dio e mi son detto: «Perché non condividere tale esperienza con la mia gente».
Così, già prima di essere dimesso dall’ospedale, avevo in mente cosa volevo portare in parrocchia. E, dopo vari incontri formativi di preparazione coi camilliani, abbiamo deciso di far coincidere la Missione popolare con l’esperienza delle Sacre Quarant’Ore.
Come ha risposto la parrocchia?
Con entusiasmo, soprattutto da parte delle famiglie dell’intera comunità. La gioia era percepibile nell’aria, nell’intera contrada, non solo nella chiesa parrocchiale, dove abbiamo vissuto momenti di preghiera e di formazione, soprattutto riguardo alla dimensione sacramentale della malattia e
della vita familiare. La missione si è caratterizzata anche per momenti formativi, rivolti a tutte le fasce d’età.
Quale generazione l’ha più sorpresa e perché?
Sì, sono stati coinvolti tutti, dai bambini fino agli anziani, con particolare risposta delle coppie sposate che avevano già avvertito il desiderio di riflettere sulle fragilità fisiche e spirituali all’interno della coppia. Tutti mi hanno sorpreso. Tutta la comunità si è sentita, e si sente, partecipe di quella dimensione “missionaria” che dovrebbero vivere tutte le membra della comunità ecclesiale, seppur con carismi differenti.
Gli ammalati come hanno accolto l’invito all’incontro?
Come momento di gioia e sollievo. Molti di loro hanno espresso il desiderio di rivivere questa esperienza e come parrocchia ci siamo prefissati l’obiettivo di protrarre questa esperienza anche senza la presenza dei padri camilliani, costituendo una Consulta parrocchiale di pastorale della salute.
Tra gli incontri formativi era previsto anche quello con i nubendi. Come mai questa scelta?
Avendo desiderato raggiungere tutte le realtà comunitarie, ci è parso opportuno approfondire l’esperienza matrimoniale segnata non solo dalla gioia del matrimonio da vivere, ma anche dalle difficoltà che sorgono al loro
interno: quando una persona della famiglia si ammala tutto il corpo familiare soffre. Conosciamo e viviamo ancora la difficoltà, nei nostri territori, a condividere l’esperienza della sofferenza, per paura di antichi pregiudizi. Sappiamo anche che tutto ciò si ripercuote nella vita sacramentale. Tutte questioni, queste, che abbiamo affrontato nei vari momenti formativi.
MARIANGELA PARISI – inDIALOGO 26 MARZO 2023
I Camilliani su Facebook
I Camilliani su Twitter
I Camilliani su Instagram