Della Croce e del Crocifisso
In cammino verso la Santa Pasqua
di Virginio Nava
(Editoriale di Missione Salute n. 2 del 2011)
Qual’è il senso del crocifisso nel mondo attuale?
Il crocifisso è un oggetto talmente diffuso da essere quasi non più percettibile, come succede a immagini diventate abitudinarie. All’occhio comune il crocifisso appare come un semplice contrassegno confessionale. Agli occhi del fedele appare come un segno di speranza e di amore. In entrambi i casi viene spesso smarrito il suo connotato di terribile dramma: il fatto cioè di rappresentare la più atroce sofferenza di una persona innocente, grazie alla quale abbiamo avuto la redenzione. Dice anche di un ribaltamento iperbolico del sacrificio di Isacco, dove il padre (Abramo) è pronto a sacrificare il figlio. Mentre nel sacrificio arcaico l’uomo sacrificava un suo simile alla divinità, sulla croce è lo stesso Dio Padre a sacrificare il Figlio per redimere l’umanità. E ci si domanda: è il simbolo della croce a dare al Cristo la sua pienezza simbolica, oppure è la sua Passione a conferire alla croce la sua forza?
La croce
La croce è uno strumento destinato al sacrificio di un uomo; e in questo senso rappresenta l’uomo: in verticale le gambe, il busto, la testa; in orizzontale, le braccia aperte. Tra i tormenti vi muore un uomo, ma il morto rimane eretto, nella posizione di un vivo. Per questo la croce rappresenta simbolicamente la morte e la vita, è una dimensione di tutto il mondo, di cui ripropone le coordinate fondamentali: la verticale unisce l’alto e il basso, il cielo e la terra, la luce del sole e il buio delle radici; il transetto indica l’orizzonte, l’esteso.
La croce è come una persona: «Ciascuno prenda la sua croce» (Mt 16,24) e porti il peso della sua esistenza. Una persona è come un albero. Quando il cieco di Betsaida, toccato da Gesù, comincia a vedere, esclama: «Vedo degli uomini e li scorgo camminare come alberi» (Mc 8,26).
La croce è come un albero. Nella Leggenda della Croce di Jacopo da Varazze il legno su cui è morto il Cristo è lo stesso legno dell’albero che stava al centro dell’Eden, l’albero della conoscenza del bene e del male. Era anche l’albero del frutto proibito e della trasgressione di Adamo ed Eva, l’albero di cui Gesù rovescia il significato, trasformando il peccato in redenzione e la morte in vita.
L’albero è anche figura del divino, quando nei tempi antichi si veneravano le divinità arboree. Simbolicamente l’albero rappresenta la resurrezione: muore d’inverno e rinasce in primavera. Tale è anche la Menorah, il candelabro a sette braccia, che rappresenta un mandorlo in fiore: «Farai un candelabro d’oro puro: farai d’oro massiccio il candelabro con il suo tronco e i suoi rami, avrà i suoi calici, le sue corolle e i suoi fiori» (Es 25,32). Fiorisce come il bastone di Aronne, come il bastone di Giuseppe, legno morto che riprende vita.
Il simbolo
La croce congiunge vita e morte, come l’albero dell’Eden congiungeva la conoscenza del bene e quella del male. I simboli sono ambivalenti, combinazione di opposti. Nell’insegna di Esculapio – ampiamente diffusa nell’ambiente sanitario – i due serpenti che si avvolgono attorno a un calice indicano congiuntamente il veleno che uccide e il farmaco che guarisce. Il serpente di bronzo che Mosè su comando divino fece erigere nel deserto, il serpente simbolico che guariva dai mortali morsi dei serpenti i figli d’Israele, è assunto come immagine del Cristo che libera l’uomo dal peccato: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere immolato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 14-15).
Gesù porta alle estreme conseguenze la logica paradossale del simbolo come combinazione di opposti: lui è l’uomo giusto che subisce la sorte dei peggiori malfattori. Nel Cristo si riflettono le due pulsioni fondamentali della nostra esistenza: la paura e il desiderio, l’orrore del male e la speranza del bene.
Al di là di ogni credo religioso, nel nocciolo simbolico del crocifisso cerchiamo di riconoscere la sua attualità universale sotto le vesti simboliche in cui si presenta. Si tratta di liberare il crocifisso dalle incrostazioni abitudinarie e dalla violenza fatta in suo nome nella storia, affinché di nuovo parli all’uomo moderno, piuttosto che essere un semplice vessillo confessionale.
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