Una volta mi è stato chiesto perché una persona sceglie di fare il volontario, sottolineando provocatoriamente l’inclinazione delle persone a farlo più per se stessi che per gli altri. Io credo che ciascuno lo faccia per un suo personale ed intimo motivo. Qualunque sia, è certo che regala la cosa che più ha valore in questi tempi così caotici che viviamo, ovvero un po’ del suo tempo. Un’altra cosa è certa, che qualsiasi cosa dia, riceve comunque sempre molto di più in termini di relazioni che necessariamente si intrecciano e si sostengono vicendevolmente, dando e ricevendo affetto.
In un settore così delicato e problematico come quello delle cure palliative, dove la persona verso la quale si concentra l’attenzione del volontario, è una persona che sta vivendo la parte conclusiva della sua vita, il periodo probabilmente più intenso e difficile, nel quale ha bisogno di essere preso in carico in tutta la sua complessità, proprio in questo tratto di strada il volontario ricopre un ruolo importante.
L’equipe collabora alla cura della persona e della sua famiglia in una presa in carico globale, pone come obiettivo il miglioramento della qualità della vita del malato e lo accompagna verso un’accettazione il più possibile serena del compimento della sua vita. Ogni operatore può servirsi delle osservazioni che riporta il volontario alla fine del suo servizio per migliorare il suo lavoro.
Il volontario è l’operatore che può dedicare più tempo di tutti per stare accanto al malato, accogliere le sue richieste di aiuto, di sostegno, di semplice compagnia o vicinanza, può percepire l’ansia, la sofferenza inespressa, può dedicarsi alla cura di quegli aspetti che possono sembrare meno importanti come l’aspetto fisico, ma che invece riescono a far spuntare sorrisi su volti provati dalla malattia. Il volontario è un compagno di viaggio discreto e silenzioso, che ti tiene la mano mentre dormi per farti sentire meno solo, che prega con te, che ti racconta delle storie o ascolta le tue, che raccoglie le tue confidenze e le conserva nel suo cuore. Che non dimentica il tuo nome anche quando non ci sei più, perché ogni persona che accompagna lascia dentro di lui il seme di un fiore che lui mette nel suo giardino. Man mano che passano gli anni, i volti e i nomi aumentano e i semi diventano fiori che, bellissimi lui cura e custodisce nel suo cuore.
Quante volte si arriva in Hospice con tante fatiche personali, che nel momento in cui si entra, spariscono come per magia, come se fuori dalla porta ci fosse un grosso sacco in cui finiscono i nostri fardelli. Un sacco che ce li custodisce e ce li rende alleggeriti quando usciamo dall’Hospice.
Quante volte rientrando a casa mi capita di piangere tutte le lacrime che ho tenuto represse dietro ai sorrisi che ho mostrato per alleggerire il dolore di chi ho accompagnato. Lacrime che talvolta non hanno un motivo preciso ma sono solo lo sfogo di una fatica dell’anima che ogni volta prova a stare difronte al dolore degli altri cercando di essere un sostegno, una carezza, un bacio. Stare sembra una cosa statica e semplice, mentre il nostro Stare è colmo di tantissime cose, emozioni, sentimenti, fatiche ma anche colmo di senso, quel senso che ciascuno di noi cerca per una vita intera e che nel fare il volontario in Hospice sperimenta ogni volta con una sfaccettatura diversa e preziosissima.
Quando chiedono a me perchè ho scelto di fare il volontario in cure palliative, io rispondo perché la vita mi ha messo sul cammino tanti ostacoli, tanti sassi aguzzi e cocci di bottiglia su cui i miei piedi nudi si sono lacerati fino a farmi traballare e temere di non farcela a continuare il cammino. Ma in questo sentiero ho anche incontrato tante mani che mi hanno sorretta, tanti sorrisi che hanno acceso la luce, e nel sollevarmi da terra ogni volta ho trovato il mio senso. Io lo chiamo passa il favore, ho ricevuto aiuto e il mio vivere trova senso e si compie nel donare aiuto.
Il ruolo del volontario in cure palliative è il ruolo di una pagina bianca su cui possono essere scritte infinite cose, non è lei che scrive, ma senza di lei tanto può andare perduto.
Elisabetta Poggi, volontario in cure palliative
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