È ragionevole produrre un saggio per tracciare analogie tra Il ritorno del figlio prodigo di Rembrandt e la pratica della medicina? Potremmo inizialmente sostenere che il pittore olandese è stato ispirato dalle tre parabole sulla misericordia e sul perdono proclamate da Gesù, riportate solo nel Vangelo di Luca. Nei testi evangelici attribuiti agli altri evangelisti, Matteo, Marco e Giovanni, non si fa menzione di questo passaggio della vita di Cristo. Possiamo far notare che Luca era medico ed era impegnato ad annunciare le azioni di misericordia e perdono di Gesù, specialmente per i pagani, persone che erano state escluse dal progetto di salvezza in quel momento: sembra che abbiamo una buona giustificazione per affrontare questa sfida.
Il ritorno del figliol prodigo è probabilmente uno degli ultimi dipinti dal maestro olandese del diciassettesimo secolo ed è esposto al Museo dell’Ermitage, a San Pietroburgo, in Russia. Acquistando il biglietto d’ingresso, di uno dei musei considerato tra i più importanti del mondo, il visitatore comprende già l’importanza del capolavoro, poiché è l’immagine dello schermo in questione. Più di ogni altro pittore, Rembrandt ha concepito la sua arte pittorica guidata dal desiderio di coinvolgere l’osservatore in un ambiente di grande emozione. Stabilendo come priorità nella missione di Cristo l’accoglienza ai più vulnerabili, l’evangelista Luca fece uso delle sue conoscenze di medico abituato a frequentare persone indebolite dalle malattie di quel tempo, motivo per cui gli fu conferito l’onore di patrono della medicina.
La parabola del figliol prodigo, e le due che lo precedono nel Vangelo di Luca, la pecora smarrita e la dracma perduta, costituisce l’ambito particolare per rivelare la magnanimità dell’amore di Dio, la sua accoglienza incondizionata dei peccatori che cercano il perdono, e la cura della salute spirituale, un percorso simile a quello dei pazienti alla ricerca di guarire le loro malattie fisiche attraverso le cure mediche.
Il testo di Luca (Luca 15,11-32) dispone di tre personaggi iconici: il padre, il figlio più giovane (il “figliol prodigo”) e il figlio maggiore (che è rimasto con il padre nella proprietà di famiglia). Il più giovane, che pentito ritorna nella casa paterna dopo aver disperso tutta la sua eredità in una vita dissoluta, si prostra davanti al padre chiedendo perdono ed accoglienza. Il padre, commosso dalla pietà, esulta al ritorno del figlio che si è perso e lo accoglie con una calda e nobile accoglienza. Nella descrizione dell’evangelista, il figlio maggiore era nel campo al momento dell’incontro di suo padre con il fratello tornato. Luca riferisce: “Quando tornò a casa, sentì canti e balli. Quindi si arrabbiò molto e non voleva entrare”.
Qual era il motivo per cui Rembrandt, contrariamente al testo sacro, aveva ritratto i fratelli insieme in questo momento di grande commozione? Nel contemplare il capolavoro del maestro olandese possiamo immaginare le possibili intenzioni del pittore. Cerchiamo, quindi, i dettagli che rivelano le emozioni che dominano ciascuna delle tre figure umane ritratte dall’artista. Prima, però, è necessario sottolineare l’importanza della luce intorno ai personaggi dipinti da Rembrandt, risorsa spesso usata per guidare l’occhio dello spettatore verso i punti in rilievo del più grande dramma proiettato sullo scherma della tela.
Molti esperti, di fronte alle emozioni suscitate dalla contemplazione di famosi dipinti, usano spesso l’espressione “questa tela parla da sola”. Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, a nostro avviso, è uno dei più grandi e più ricchi esempi di questa percezione dei grandi esperti di belle arti. Considerate questo: la figura del figlio maggiore, circondato dalla stessa ricca veste che copre la schiena di suo padre, rivela il suo stato nobiltà o, meglio, la sua personalità che da sempre ha condiviso con la ricchezza paterna ed il comfort abitativo, vissuti come altezzosa dignità del primogenito, erede della fortuna paterna, mostrandosi capace di comandare e di essere obbedito dai suoi subordinati.
Resta in piedi, lontano dal fratello che è tornato alla casa di suo padre dopo aver rivelato la completa incapacità di gestire la propria vita. La luce che lo circonda è limitata alla testa e mostra uno sguardo di superiorità, le mani giunte mostrando disprezzo per quella persona prostrata l’atteggiamento di uno straccio umano, ai piedi del padre, a tutti mostrando una totale mancanza di misericordia per il peccatore pentito.
Nelle parole dell’Evangelista, il figlio maggiore aveva il suo orgoglio ferito per l’atteggiamento incomprensibile del padre accogliente, il che significava che ha rifiutato di partecipare alla festa in omaggio a quel suo fratello dissoluto, identificandolo, come “quel tuo figlio”, che mostra tutto il suo odio e sgomento per non aver ricevuto la stessa attenzione da suo padre, sebbene fosse rimasto fedele e obbediente agli ordini paterni. Il figliol prodigo che ritorna è ritratto da Rembrandt come un emarginato segnato dal decadimento fisico e morale, con la testa rasata come uno schiavo, in ginocchio e senza potere, i vestiti laceri, privo della veste, con i sandali logori che possiamo osservare con il piede destro impregnato di terra, dimostrando la sua più profonda sofferenza morale; il piede sinistro con ferite sanguinanti rappresenta il dolore derivante dal lacerante viaggio della sofferenza fisica. L’unica prova a denotare la sua nobile origine è il pugnale in vita (nascosto dal telo che circonda il suo corpo), perché in quel momento solo i nobili avevano il diritto di portarlo.
La figura del padre che abbraccia il figlio è centrale e emana una luce intensa che si estende dalla testa al pavimento della stanza, coprendo la figura del figliol prodigo. Il padre è rappresentato come un uomo sereno, con la barba, con i capelli bianchi e con gli occhi chiusi. Un’aura di estrema tenerezza lo circonda. Un dettaglio che attira l’attenzione dell’osservatore è l’asimmetria anatomica delle mani del padre. Quella destra con tratti morbidi, quasi femminili, sembra sostenere la sofferenza morale del giovane; quella sinistra è forte e sostiene tutto il peso del corpo sofferente del figlio prodigo, spingendoci a presumere che egli offra protezione alla sofferenza fisica di quella persona che ha accumulato tanta sofferenza durante il suo infelice viaggio. In breve, tutto indica che il padre rappresenta la figura misericordiosa descritta da Luca, colui che non solo perdona, ma reintegra il figliol prodigo nella famiglia, restituendogli ogni dignità perduta.
Ora, per concludere questa riflessione, sarebbe possibile rispondere alla domanda formulata all’inizio di questo saggio, cioè quali sono le possibili analogie tra la storia ritratta nel capolavoro di Rembrandt e la pratica della medicina? Sembra naturale riconoscere la somiglianza del figlio prodigo della tela del maestro olandese con una persona malata, anonima che, fragile, cerca cure mediche. Sia come esseri biopsicosociali che spirituali incontriamo continuamente delle vite minacciate che richiedono l’assistenza di un’autorità competente, in grado di offrire il desiderato ritorno alla piena salute fisica ed emotiva. Non è forse troppo per riconoscere la grande somiglianza della sofferenza del figliol prodigo del vangelo di Luca nella stessa sofferenza di innumerevoli umili pazienti, utenti del sistema sanitario pubblico del nostro paese? In sintesi, il figlio prodigo di Rembrandt frequenta le cliniche ambulatoriali mediche, frequenta i medici e gli accademici delle nostre scuole di medicina.
Quali somiglianze potremmo percepire tra le figure del padre e del figlio primogenito ritratte nel quadro e i professionisti che attualmente praticano la medicina in Brasile? Certo, alcuni di loro nelle loro attività di routine, possono e riescono ad avvicinare l’atteggiamento accogliente del padre, a differenza da quanto è stato proposto da Gaillard nella sua opera O médico do futuro: para uma nova lógica médica, in cui l’autore descrive sei passaggi necessari per caratterizzare l’atto medico: accoglienza seguita da anamnesi, esame fisico, diagnosi, prescrizione e separazione.
Ciò che viene percepito nell’odierna assistenza medica è una realtà completamente diversa, che consiste nel fornire assistenza nel più breve tempo possibile, prescrivere qualsiasi farmaco al paziente, richiede alcuni test di laboratorio e alla fine cerca di concludere rapidamente questo impegno scomodo e sottopagato. Nella medicina high-tech (tecnica), che ha sostituisce la medicina high-touch (contatto-tocco), non c’è più spazio per un esame fisico accurato, accogliente e dettagliato. Ci sono molte affermazioni che spiegano questo comportamento professionale astruso, ma tutte sono incapaci di giustificarlo. Queste giustificazioni includono bassi salari e insufficienti investimenti per la salute pubblica, che ampliano indubbiamente il divario tra medico e paziente. Ma tali atteggiamenti rivelano anche da un lato, l’arroganza meschina della conoscenza e, dall’altro, la progressiva adesione di professionisti ad una medicina difensiva fuorviante: questa situazione rende eloquente la somiglianza del medico dei nostri giorni con la figura del figlio maggiore del quadro Rembrandt, con lo stesso insopportabile disprezzo per le sofferenze umane, sia diretto al fratello minore del brano evangelico di Luca, sia agli umili pazienti sparsi in ogni angolo del nostro paese ingiusto e iniquo.
È essenziale, quindi, intensificare la ricerca di nuove strategie che mirino a formare medici che possano ricordare sempre di più la figura del padre del capolavoro di Rembrandt, professionisti in possesso delle competenze per accogliere e riconoscere la dimensione reale della sofferenza umana, che sanno mantenere la relazione soddisfacente ed efficace ed essere pronti ad adottare decisioni cliniche condivise che rispettino i valori e le credenze personali dei pazienti che servono. Non mancano dati nella letteratura specializzata che dimostrano in modo inequivocabile la necessità per i professionisti della medicina e della salute di esseri dotati di questi nuovi atteggiamenti per la pratica della medicina in modo che possano onorare gli insegnamenti del padre della medicina (‘Ippocrate’), che ha incluso tra le sue disposizioni il seguente comandamento: “dove c’è amore per l’uomo [paziente], ci sarà anche amore per l’arte [medica]”.
Riferimenti
GAILLARD, J. R. O médico do futuro: para uma nova lógica médica. Lisboa: Instituto Piaget, 1995
CENTRO INTERNACIONAL DE PESQUISAS E ESTUDOS TRANSDISCIPLINARES. Que universidade para o amanhã?: em busca de uma evolução transdisciplinar da universidade. Locarno: Ciret-Unesco, 1997
FRENK, J. et al. Health professionals for a new century: transforming education to strengthen health systems in an independent world. The Lancet, Oxford, v. 576, n. 9756, p. 1923-1958, 2010
Cairus, F. H. Ribeiro Junior, W. Textos hipocráticos: o doente, o médico e a doença. Rio de Janeiro: Fiocruz, 2005
* José Eduardo de Siqueira è uno specialista in Cardiologia; Master in Bioetica presso l’Università Nazionale del Cile; dottore in medicina clinica presso l’Università statale di Londrina (UEL); membro della commissione tecnica di cure palliative di CFM; membro della commissione nazionale di etica nella ricerca (Conep) e autore di numerosi libri in materia di bioetica e medicina.
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