Andrea Cardone, Quando l’amore prega, Studentato Camilliano, Roma, 1966, pp. 150-151
Adagiato su una pila di cuscini, che gli agevolavano la respirazione difficoltosa – scrive il p. Degli Angeli, che fu vicino a Nicolino durante l’ultima notte – bianco, con i grandi occhi neri, resi più grandi nel viso squadrato a colpi decisi, scavato e teso dal male, lo vedevo assorto.
Era quasi sempre cosi, come se un pensiero lo prendesse e gli occupasse tutto l’essere, estraniandolo dal mondo che lo circondava… Parlava attraverso l’espressione del volto: sentiva il bisogno del sostengo dei confratelli, li gradiva lì vicini a lui, anche se le parole erano avare; una stretta di mano, uno sguardo, un sorriso accennato. ..
Come gli era diventato caro, agognato, il puro ossigeno di cui ci abbeveriamo inconsciamente prodighi!
Il suo corpo era oppresso, tra tanti travagli, anche da quello dell’asfissia progressiva. Ma i suoi occhi erano luminosi.
Quella notte gli dissi: “Non perdere nulla, Nicolino, tutto è prezioso”.
– Tutto, Padre; ma quando la sofferenza è lontana non si immagina quanta pazienza ci voglia!.
E pazientò, con i denti stretti, a volte quasi convulso, con le vene affioranti nello sforzo di una tosse cattiva, spietata, lucidamente presente a se stesso, nella sofferenza contenuta, senza gesti tragici, né scene di pietà straripanti.
Erano le 4,30. Boccheggiava in un sonno d’immensa fatica tra sussulti e tremori. Poi improvvisamente traboccò la sofferenza, che la sua virtù aveva ogni giorno arginata: “Non ne posso più… non ce la faccio più! Signore, Signore, non vedi che non ce la faccio più? San Camillo!…”.
In mezzo a tanto strazio, trovava, però, ancora la forza di calmare la madre, accorsa alle sue preghiere. La povera mamam sua, che ha sorbito, goccia a goccia, tutta la passione
SANTI PER VOCAZIONE: NICOLA D’ONOFRIO
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