Da “Esercizi spirituali alla scuola del beato Enrico Rebuschini”
«L’assistenza prestata alla necessità e ai dolori fisici e spirituali degli infermi vuol essere il prolungamento dell’inesauribile misericordia e pazienza e bontà di Gesù Signore, il quale si chinò su tutte le miserie dell’umanità ferita dal peccato, e attraverso la cura dei corpi doloranti diede pace e salvezza alle anime. La vostra presenza negli ospedali, nelle case di cura, al capezzale dei poveri e dei bisognosi sia pertanto l’irradiazione costante della carità di Cristo, l’apologetica vissuta della delicatezza, del disinteresse, dell’eroismo, se è necessario, di chi ha fatto dell’esempio di Gesù Signore l’unica ragione di tutta la propria vita, la misura di una necessità senza misura, la molla segreta di uno slancio destinato a spezzarsi solo con la morte» (Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, Tip. Pol. Vat., 1965, pp. 289-290).
Queste parole che Paolo VI rivolgeva ai Chierici Regolari Ministri degli Infermi, sembrano essere il compendio dei propositi e dell’apostolato del Servo di Dio Enrico Rebuschini, che ha seguito fedelmente l’esempio e la dottrina di Cristo e consacrò la sua vita al servizio dei malati e dei peccatori, ai quali, con umiltà e carità, ha distribuito largamente i doni della Redenzione, offrendo loro di fare l’esperienza della misericordia di Dio e di quella dolcezza del Vangelo di cui tutti abbiamo bisogno.
Questo degno seguace di San Camillo è nato a Gravedona il 28 aprile 1860, entro i confini della diocesi di Como, di famiglia ricca e di solidi principi morali e religiosi. I genitori, Domenico Rebuschini e Sofia Polti, gli diedero un’ottima educazione, che il bambino fece docilmente e utilmente propria. Per questo camminò sempre nell’ambito della fede, mostrando chiara propensione alla preghiera, alla solitudine, alla familiarità con Dio e alla purezza del costume. Finiti gli studi liceali, conseguì il diploma di ragioniere assecondando il desiderio del papà, che desiderava fare di lui un abile industriale. Ma Enrico preferiva consacrarsi completamente a Dio e al suo regno, attratto da valori superiori. Non lasciò cadere mai questo desiderio, né nel servizio militare né nel periodo in cui fu assunto come impiegato in una industria serica a Cremia, e poi presso l’amministrazione dell’ospedale civile di Como. In quest’ultima incombenza diede alti segni di sollecitudine per i malati.
Superata l’opposizione paterna e ottenuto il consenso del vescovo diocesano, nel 1884 entrò al Seminario lombardo a Roma e si iscrisse alla Pontificia Università Gregoriana. Ma nel 1886 dovette far ritorno in famiglia per motivi di salute. Conosciuta meglio la volontà di Dio, l’anno seguente chiese e ottenne di entrare nell’Ordine dei Chierici regolari Ministri degli Infermi. Mentre era novizio a Verona fu ordinato sacerdote da Giuseppe Sarto, vescovo di Mantova, il 14 aprile 1889. L’8 dicembre seguente emise i voti semplici e due anni dopo i voti solenni. I superiori, che lo stimavano grandemente per le sue virtù, gli affidarono subito gli incarichi di vice-maestro dei novizi e docente di teologia nella casa di formazione. Non tanto tempo dopo su nominato cappellano dell’ospedale militare e di quello civile a Verona, dove rifulse per lo zelo, la carità e l’umanità nell’assistere i malati, nei quali vedeva il Cristo crocifisso; li visitava, consolava e conduceva a Dio con la bontà, la dolcezza e soprattutto con le parole della fede e della speranza e col sacramento della penitenza. Offriva preghiere per la loro conversione e nei casi difficili non esitava a compiere aspre penitenze. Dal 1899 rimase nella città di Cremona, fungendo da cappellano delle Figlie di San Camillo, economo della sua casa religiosa e della casa di cura. Per dieci anni fu anche superiore della comunità, che egli diresse più con l’esempio della santità che con l’esercizio dell’autorità.
Nello stesso tempo si dedicava col solito fervore alla cura spirituale degli infermi e al ministero delle confessioni. Pur essendo modesto di carattere, parco di parole e particolarmente timido, eseguiva i doveri sacerdotali e comuni con dignità, diligenza e perseveranza. Col cuore fissato nell’eternità e in Dio compì costanti progressi nella sequela di Cristo. Scosse così salutarmente il suo Ordine e la città di Cremona. Vero uomo di Dio, visse sempre nella luce della fede, della speranza e della carità. Aderì fermamente alla rivelazione e al magistero della Chiesa. Coltivò stretta comunione con Dio con la devota celebrazione dei misteri divini e della Liturgia delle Ore, la preghiera, la meditazione delle virtù eterne. Dedicava molto tempo all’adorazione dell’Eucarestia e coltivava singolare devozione verso la S.S. Trinità, la Passione di Cristo e la Madonna. Ripieno dell’amore di Dio, obbediva in ogni tempo alla Sua volontà e alle Sue leggi, lavorava umilmente per la Sua gloria e per il Suo regno, dando testimonianza del Vangelo e servendo le persone con amabilità, con zelo, con prudenza. Effuse la carità di Cristo verso i confratelli, i malati, i peccatori e verso tutti coloro che incontrava durante il giorno. Misericordioso verso tutti, anche verso coloro che abusavano della sua fiducia e della sua bontà. Fedele alla sua consacrazione religiosa, osservò diligentemente i voti e la regola, rinnegò se stesso, dominò i sensi e le affezioni dell’animo, alieno dalle cose vane del mondo. Rifuggiva ogni genere di peccato e di vizio. Fu sempre forte nelle difficoltà e paziente. Praticò egregiamente la giustizia verso Dio e il prossimo e svolse l’incarico di economo con onestà, integrità e accuratezza, sforzandosi di essere sommamente utile ai confratelli e ai malati della Casa di Cura. Più volte nel corso della sua vita portò la croce di grandi sofferenze interiori, che non gli impedirono tuttavia di progredire nelle vie del Signore e di onorare esemplarmente i suoi doveri sacerdotali. Colpito da broncopolmonite, raggiunse il premio eterno che aveva sempre desiderato il 10 maggio 1938.
La fama di santità, di cui godette durante la vita, si è confermata e aumentò dopo la morte. Per questo il vescovo di Cremona diede inizio alla causa di beatificazione e canonizzazione celebrando il processo ordinario informativo (1947 – 1958), cui si è aggiunto il processo rogatoriale di Como (1948). Nel 1980 è stato promulgato il decreto per l’introduzione della causa e negli anni 1981 – 1983, presso la stessa curia di Cremona è stato istituito il processo apostolico. La validità di questi processi è stata riconosciuta dalla Congregazione delle cause dei Santi con decreto promulgato il 12 giugno 1987. Completata la Positio si è discusso se il Servo di Dio abbia osservato le virtù in grado eroico. Il 14 febbraio 1995 si è tenuto con esito favorevole il congresso peculiare dei teologi consultori. I Padri Cardinali e i Vescovi, radunati in sessione ordinaria, ponente della causa l’Eccellentissimo Monsignor Andrea Maria Erba, vescovo di Velletri, hanno riconosciuto che il P. Enrico Rebuschini ha praticato in modo eroico le virtù teologali, cardinali, e quelle collegate alle stesse.
Il sottoscritto Pro-Prefetto ha fatto una accurata relazione di tutto al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II. Sua Santità, raccogliendo i voti della Congregazione delle Cause dei Santi e approvandoli, ha disposto che si prepari il decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio. Una volta steso il decreto, il Santo Padre, convocati il sottoscritto Pro-Prefetto della Causa, il Segretario della Congregazione e altri che generalmente si convocano, in loro presenza ha solennemente dichiarato: «È accertato il grado eroico delle virtù teologali della Fede, Speranza e Carità verso Dio e verso il prossimo, come pure delle virtù cardinali della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, e delle virtù annesse, del Servo di Dio Enrico rebus chini, sacerdote professo dell’Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, in ordine agli obiettivi della Causa in corso».
Dispone infine che il decreto sia pubblicato e inserito negli Atti della Congregazione delle Cause dei Santi.
Roma, 11 luglio 1995
Edoardo Novak Alberto Bovone
Segretario Pro-Prefetto
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