di p. Rosario Messina in Missione Salute Anno XXXIII – N.4 LUGLIO AGOSTO 2019
Da Sanzio Cicatelli, biografo contemporaneo del Santo, si apprende come nell’ultimo periodo della sua vita, pur sentendosi fragile per la malattia, Camillo voleva recarsi – come era sua consuetudine – a «quel tanto diletto Hospidale di Santo Spirito» a visitare gli infermi, sostenuto dalle braccia di due confratelli, poiché «pareva che non si potesse distaccar da quei poveri», ai quali confidava: «Dio sa fratelli quanto mi sarebbe caro di restar sempre con voi, ma poiché questo non mi e concesso, ci resto almeno co’l cuore…».
La Storia del Cuore di San Camillo, cuore che dette impulso all’energia di un corpo instancabile e fisicamente grande, cuore «di tanta grandezza esso stesso che fece restare ammirati quanti lo videro», e che per sessantaquattro anni spinse in quel corpo sangue e passione nel soccorrere i malati, è la storia documentata di una “Reliquia insigne”, voluta da coloro che furono presenti alla dipartita del Santo.
Quel Cuore è tuttora visibile. È infatti esposto alla venerazione dei fedeli nell’infermeria, trasformata in cappella, dove avvenne il pio transito, da quel tempo chiamata Cubiculum. Una storia complessa e ricca di sorprese, che i quattro secoli trascorsi non hanno mancato di offrire. Ovviamente qui ne daremo una succinta presentazione.
È importante menzionare anzitutto la figura di padre Giovanni Califano, perché direttamente coinvolto nelle vicende che riguardano la “reliquia” e perché è colui che ha assistito san Camillo negli ultimi giorni di vita.
Padre Califano, religioso contemporaneo di Camillo de Lellis, persona di notevoli doti intellettuali, era entrato nell’Ordine dei Ministri degli In-fermi all’età di vent’anni. Durante la vita, svolse nell’Ordine gli importanti incarichi di Procuratore locale, provinciale e generale, distinguendosi in particolare – nel 1596 – nell’assistenza agli infermi durante l’epidemia di Borgo Sant’Angelo, a Roma, dove Camillo lo volle come Superiore della nuova Casa aperta per l’occasione.
Operando gomito a gomito con san Camillo, alla morte del Fondatore per sua devozione si e appropriato di una porzione del Suo cuore (e di diverse altre reliquie), ottenendo dai Superiori nel 1616 di portarla nella Casa di Messina dove sará Superiore. Ancora cinquantenne, padre Giovanni Califano morí a Manfredonia it 7 febbraio 1622.
«Pareva un rubino…»
Le cronache tramandano che un’ora dopo it suo transito, Camillo venne sottoposto ad autopsia. Una biografía del Santo, del francese padre Thomas Blanc, stampata a Lione nel 1860, ci fa sapere che, poco prima di morire, Camillo, immaginando cosa sarebbe successo, aveva proibito ai confratelli che si facesse l’autopsia del suo corpo: ma non venne obbedito. Infatti, per conoscere la causa della morte, ma soprattutto per estrarne it cuore come reliquia, gli venne comunque effettuata l’autopsia. Allo scopo furono chiamati due chirurghi dall’Ospedale di Santo Spirito: Girolamo Bianchi, primario, e Michele Ercolini. Narra il padre Giacomo Mancini, testimone del fatto e all’epoca Superiore della Casa Generalizia: fu aperto per vedere di che male fusse morro… fu risoluto che se ne pigliasse it core, e quello se conservarse… et cosi poi in mia presenza, levato detto core dal corpo, fu posta in un catino, e sopra un poco di aromi e di lì messo in una Cassetta di cipresso, e detto da Padri che si mandasse in Napoli per dare parte del suo Corpo alla Casa professa, che fu la seconda da lui fondata (Archivio Generale Ministri Infermi, n. 2607, Historica Cordis S. Camilli).
Appena estratto, il cuore apparve di un rosso cosí vivo che pareva un rubino ed era di tanta grandezza che fece restare ammirati quanti lo videro (Sanzio Cicatelli, Vita del Padre Camillo de Lellis, Napoli 1627, pag. 360).
Messa nella cassettina di legno di cipresso, la preziosa reliquia venne affidata al padre Giovanni Califano, che riferisce: il core, che io testimonio ritenni appresso di me per mia devotione et per la credulitá di santità che io avevo, et ho, et per mia devotione domandai á Superiori licenza di portarlo a Napoli come reliquia, et mi fu concesso, et lo portai a Napoli.
Un pezzetto di cuore…
In realtá il padre Califano, spinto dalla grande devozione che aveva per il Fondatore, non consegnó la reliquia alla Casa di Napoli, ma la tenne segretamente per sé. Dopo circa un anno e mezzo, forse su istanza dei religiosi napoletani, la Consulta, il 19 febbraio 1616, da Roma decretava: Non sapendosi dove si ritrovi it Cuore del Molto Reverendo Padre nostro Camillo, che sia in gloria, ne essendovi alcuno che ne sappia dar conto, si e facto Decreto in Consulta che si comandi sotto pena di scomunica a qualunque persona che sappia dove si trovi detto cuore, o vero l’habbia, che fra il termine di tre giorni o lo riveli o lo consegni al Padre Generale et Consulta (n.1519, Atti del-la Consulta Generale dal 1599 al 1619, foglio 753).
A quel punto il padre Califano fu costretto a raccontare quanto aveva fatto, giustificandolo con la devozione che nutriva per il Fondatore, e che ora era sua intenzione portare il cuore di Camillo a Napoli com’era anche desiderio degli altri religiosi di quella Casa. Il padre Generale Nigli, chiudendo la questione, acconsenti, ed insieme allo stesso Califano, alla fine di febbraio del 1616, portó la reliquia alla Casa di Napoli consegnandola al Provinciale Padre Agostino Grossi.
Il padre Califano, pochi giorni prima, il 29 gennaio, era stato nominato Superiore della Casa di Messina. Prima di andarvi fece al padre Generale un’altra richiesta in merito al cuore di Camillo: ottenni da Superiori di levarne un pezzetto di esso et fu riposto nella Casa nostra di Messina dove è conservato come reliquia assieme con un coscino, che era sotto il suo Capo quando spiró… La parte piú grande del cuore rimase a Napoli, conservata in un busto-reliquiario d’argento. I religiosi della Casa partenopea peró, ancora una volta, trasportati dalla grande devozione non si limitarono a una privata venerazione, ma ogni 14 luglio esponevano al pubblico culto la reliquia.
Dopo la Beatificazione…
Ovviamente una tale condotta fu del tutto illegittima, perché il processo che porterà Camillo alla canonizzazione era ancora ben lontano dalla conclusione. La situazione dovette degenerare se, nel luglio del 1649, l’Arcivescovo di Napoli, Ascanio Filomarino, sottrasse ai Camilliani la statua con il cuore e la fece trasportare nell’archivio della Curia. Il cuore passó poi nella sede dell’Inquisizione napoletana dove rimase per moltissimi anni.
Nel 1742, dopo la Beatificazione di Camillo, fu fatta istanza al Sant’Uffizio napoletano per la restituzione della reliquia. Ma erano trascorsi 93 anni e di questa, negli Uffizi, si era persa memoria della sua custodia. Era stata peró rinvenuta una cassettina in vetro con dentro un oggetto che sembrava un cuore, ma non esisteva alcun documento che attestasse che era il Cuore di Camillo.
Pertanto si dovettero smontare le tesi di quelli che sostenevano il contrario, provando che quanto custodito dal S. Uffizio napoletano fosse veramente la reliquia del cuore del Beato Camillo. Per questo motivo, il padre Paolo Emilio Orenghi, Superiore di Napoli, chiese di avere la porzione di cuore conservata a Messina per un raffronto tra le due reliquie, per consentirne l’autenticazione.
Padre Giovanni Marini, Superiore della casa di Messina, il 21 maggio 1742 scriveva al padre Orenghi affermando che non poteva esaudire la sua richiesta in quanto: la parte di cuore del nostro Beato Padre Camillo che qui oggi conservasi con tutta la venerazione è già stato autenticato da questo nostro Prelato e chiuso in un reliquiaro con tre sigilli. E prima di riporsi in detto Reliquiaro altro non si vidde che un pezzetto di cosa lungo tre dita in circa, e larga un solo dito, che per l’antichitá non distinguevasi che cosa fusse… Come detta parte sia pervenuta a questa Casa non vi è memoria, né instromento che lo significhi. Abbiamo si ritrovato un documento manoscritto nella nostra cassa comune assieme con detta reliquia in cui leggesi che nell’anno 1701 questi boni Padri per ordine del P. Consulto re Vitagliano, allora Visitatore Generale, presente un Protonotario Apostolico giurorno che sempre detta reliquia l’hanno tenuta custodita in cassa comune e veneratola per porzione del cuore del nostro Beato Padre, e ció fu confermato da piú secolari degni di ferie col loro rispettivo giuramento, asserendo inoltre li detti di avere sempre inteso che questa sua casa possedeva porzione del cuore di detto Beato Padre.
In ogni caso, anche senza il riscontro con la fettarella di cuore conservata a Messina, il Tribunale del S. Uffizio napoletano eseguì un Processo di ricognizione per l’autenticazione del Cuore di san Camillo, interrogando due esperti clinici napoletani: a) sulla volumetria del cuore; b) sulla visibilitá in esso di un possibile taglio o sutura; c) su probabili odori assorbiti nel tempo dalla Reliquia.
II Processo di ricognizione
L’interrogatorio avvenne l’11 giugno 1742 nei locali della Curia di Napoli. Il primo perito Medico Chirurgo dott. Luigi Tortora, cosí rispose alle tre domande a lui poste: a) Era di stravagante grandezza; b) Si osservava una scissura e sutura fatta con spago sottile, lunga tre dita e profonda un dito; c) Si sentiva bene l’adore di aromi cioé di aloe e mirra.
II secando Medico Chirurgo Dottor Giuseppe Ventura cosi ripose: a) Questo cuore che io vedo e tocco e d’una straordinaria grossezza, e questo tanto piú che sieno passati 126 anni o almeno 70 dal giorno in cui venne estratto dal suo cadavere. b) Ho osservato in tutte le sue parti questo cuore messomi in mano e dico di osservare un taglio laterale al medesimo cuore, cucito poi con spago sottile, e il detto taglio misuratalo con la mia mano lo ritrovo lungo tre dita, e giudico che la sua profonditá sia di un dito. c) Ho odorato intorno questo cuore, e dico di sentirvi un odor d’aromi come di aloe, mirra o consimili.
I due documenti firmati dai rispettivi Professionisti, furono controfirmati da Tomaso Ruggeri, Consultore Ordinario e Domenico Cifolelli, Mastro d’Atti del Tribunale delle Cause della Fede.
Le misure indicate dal padre Giovanni Marini di tre dita per uno in profonditá della porzione di cuore di Messina, coincidevano perfettamente con il taglio presente nella parte conservata a Napoli. Tali esami, la documentazione inviata da Messina, insieme a tutte le testimonianze raccolte, consentirono, il 15 novembre 1742, al Cardinale Spinelli arcivescovo di Napoli, di concludere che vi era la certezza morale che la reliquia esaminata era: «lo stesso cuore del Beato Camillo de Lellis, Fondatore dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, estratto dal suo cadavere».
La reliquia rimase a Napoli fino al 1925 quando venne portata a Roma nella Casa generalizia, dove ancora oggi è custodita e venerata in un prezioso reliquiario.
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