In copertina Scanzo (Seriate), L.S. Riva Camillo in adorazione (1902)
Relazione di Giovanni Terenghi agli aderenti alla Famiglia Camilliana Laica: tenuta a S. Giuliano (Verona) il 2 aprile 2000. Quarta relazione del programma 1999/2000: “L’esperienza spirituale di Camillo de Lellis”.
Il crocefisso e la Misericordia
Sulle orme dell’esperienza spirituale di S. Camillo, dall’evento della conversione lungo il progressivo rivelarsi della vocazione particolare del carisma camilliano, notiamo la costante presenza del Crocefisso: rivelazione della chiamata divina, evento dell’esperienza di un amore che sorprende e sconvolge nella sua incomprensibilità, energia che spinge Camillo e i suoi compagni a fare della propria vita un dono ad immagine di Gesù.
Torniamo su alcuni momenti fondamentali dell’esperienza spirituale di Camillo, rileggendoli dal duplice (ma in realtà unico) versante della misericordia rivelata dal Crocefisso. Ci metteremo per lo più in ascolto delle testimonianze del Santo (quando possibile) e dei suoi compagni, chiedendo allo Spirito Santo di parlarci di Gesù attraverso l’esperienza di questi uomini. Gli chiediamo di aprire la nostra mente e il nostro cuore, e di farci comprendere la volontà di Dio sul tratto del cammino che al momento ciascuno di noi sta percorrendo; in particolare gli chiediamo di farci amare il dono della misericordia che ci elargisce, anche attraverso il carisma donato al nostro padre Camillo.
Le apparizioni del crocefisso
Probabilmente ci sono note le narrazioni delle due visioni del crocefisso avute da Camillo all’inizio della sua vicenda. Come spesso capita nelle cose di Dio, quella santa ispirazione nella notte dell’Assunta del 1582, di “instituire una Compagnia d’huomini pij, e da bene, che non per mercede, ma volontariamente e per amore d’Iddio gli servissero con quella charità et amorevolezza che sogliono far le madri verso i lor proprij figlioli infermi” (Vita Manoscritta=Vms 52), era stata contraddetta dal volgersi degli eventi: tutto sembrava deporre contro quanto Camillo portava in cuore e che, lo stava scoprendo, non era solamente il desiderio del suo cuore.
È in questa fase iniziale di incertezza, nel pullulare di domande che non trovavano risposte, nella difficoltà e nella incomprensione – talvolta delle stesse persone ritenute “più vicine”. È proprio nel buio della prova, che Camillo comincia a fare l’esperienza della sequela di Gesù crocefisso: “Figlio se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir. 2,1).
Sono note le parole udite dal crocefisso: “Di che ti affliggi, o pusillanimo? Seguita l’impresa che io t’aiutarò, essendo questa opera mia e non tua” (Cicatelli 1620,28).
La condizione di partenza, l’abbiamo ribadito più volte ormai nelle nostre riflessioni, è quella della “pusillanimità”, quella di un cuore di bambino, troppo piccolo, fragile, debole e vulnerabile, per resistere all’urto della potenza dello Spirito e alla prova terribile della gratuità del dono.
Le parole del crocefisso sono parole che lo renderanno – dice il biografo – “il più contento e consolato huomo del mondo” (Vms 55); ed è pur necessario che all’inizio, come abbiamo visto ci sia l’esperienza di un grande amore, di una misericordia illimitata che purifica e che ricrea, perché il nostro cuore possa riprendere a pulsare secondo i battiti del cuore di Dio e possa continuare a farlo anche quando Dio sembra essersi nascosto e averci abbandonato.
Non è nostra intenzione di addentrarci nella natura di questi eventi, che pur ebbero un’importanza decisiva per Camillo e la sua vocazione; né ci sembra necessario tentare, anche solo in termini di abbozzo, delle proposte interpretative degli stessi. Quello che sembra importante sottolineare, è piuttosto il carattere di “provvisorietà” – a questo punto della vicenda di Camillo – dell’esperienza stessa della croce. Per Camillo, che vagava nell’oscurità, di una volontà di Dio ancora incerta, la croce di Gesù era vissuta in quel momento come una “consolazione, un barlume di certezza nell’incertezza del mistero di Dio, la testimonianza della presenza di Colui che non ci dimentica, in situazioni che dicevano piuttosto una lontananza, per lo meno il silenzio di un cielo che taceva. Qui Camillo è di fronte, se vogliamo, alla parola fondamentale della croce, al gesto di Dio che viene incontro all’uomo e lo ricrea (come s’è visto). Nonostante si comunichi a un “cuore ancora troppo piccolo” (pusillanime), Dio si decide per Camillo, gli si avvicina nell’unico modo che conosce: come misericordia.
Quasi a commento delle parole del crocefisso, Camillo scriverà in seguito: “quasi si può dirne essere stata questa fondatione miracolosamente fatta…ho detto esser questo miracolo manifesto questa nostra fondatione, et in particulare di servirsi di me peccatoraccio, ignorante , et ripieno di molti difetti, et mancamenti, et degno di mille inferni. Ma Dio è il padrone, et può fare quello che gli piace, et è infinitamente ben fatto. Ne sia nessuno che s’ammiri che per mezzo di un tale instromento habbia Dio operato, essendo maggior gloria sua che di niente facci mirabilia” (Scritti, 454 – 455)
“Provvisorietà” si diceva. Infatti a questo punto Camillo intravvede il mistero dell’amore crocefisso, ma è ancora sulla soglia di esso. Non vi è ancora entrato o, meglio, non se n’è ancora lasciato attraversare. Di fatto l’esperienza della croce di Camillo era già iniziato con il mistero della prova che precedeva le apparizioni, e continuerà poi per tutta la vita, nel discepolato del crocefisso e della misericordia per gli infermi.
Anche se Camillo è stato figlio del suo tempo (di fatto il clima religioso dell’Italia in cui visse era profondamente segnato dalla devozione alla passione del Signore: “la croce, è stato scritto, vi dominava sovrana”), l’enfasi, che di fatto è stata posta sulle apparizioni (si pensi ad una certa iconografia, compreso lo stendardo esposto nella basilica vaticana in occasione della sua canonizzazione, nel 1747), ha avuto effetti positivi, ma anche unilaterali: suo merito è stato quello di identificare nella centralità della croce, l’elemento unificante e sintetico dell’intera esperienza spirituale del santo.
La parzialità d’altro canto, è stata in primo luogo legata al messaggio implicito che veniva in qualche modo veicolato, che cioè la santità coincidesse con la straordinarietà, col prodigioso, con quanto comunque era difficilmente riconducibile all’esperienza spirituale “normale e ordinaria”.
In realtà lo straordinario del prodigioso non è sostanziale per la santità, che in definitiva è l’unione con Dio nel dono di sé, come Gesù. Ma è proprio lo straordinario dell’amore, l’essenza dell’ordinarietà della vita cristiana (si veda il magis – il “di più” del discorso della montagna).
Il nostro compito sarà quello di vedere come questo aspetto si sia incarnato nell’esperienza di Camillo, e come soprattutto, abbia assunto il volto “materno” della misericordia.
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