di Luciana Mellone
Da quando nel 1586, la “compagnia di uomini da bene” ottenne l’approvazione dal Papa Sisto V e, nel 1591, il Papa Gregorio XIV diede lo status di Ordine, con il nome di “Ordine dei Ministri degli Infermi”, i Ministri degli Infermi, Camilliani hanno sempre rivolto le loro attenzioni al mondo della salute dedicandosi ai malati e ai sofferenti.
Questo nobile impegno è sancito non solo dalla stessa costituzione dell’Ordine: “Il nostro Istituto ha per scopo il servizio completo del malato nella globalità del suo essere“, disposto “ad assumere ogni servizio nel mondo della salute, per l’edificazione del regno di Dio e la promozione dell’uomo” (C 43), ma è soprattutto sentito nel più profondo dell’anima e del cuore di ogni membro dell’Ordine stesso.
Consacrando la loro vita al malato molti camilliani hanno perso quella loro nelle epidemie e catastrofi succedutesi nel corso dei secoli.
Nel periodo in cui San Camillo operava erano molto frequenti le pesti ed epidemie con conseguenti carestie. Fame, guerre e calamità naturali non mancavano sia in Italia che in altri paesi dell’attuale Europa .
Nel 1590, oltre al tifo petecchiale e febbri pestilenziali, la città di Roma fu colpita da una conseguente grave carestia nella quale persero la vita oltre 60 mila persone per la fame e per il freddo e Camillo e i suoi confratelli accorsero in aiuto sfamando e vestendo la popolazione.
Su richiesta del Papa Clemente VII, Camillo mandò religiosi in Ungheria per curare i soldati feriti e ammalati; in occasione dell’inondazione provocata dalla piena del Tevere a Roma, Camillo lavorò giorno e notte cercando di mettere in salvo gli ammalati dell’Ospedale Santo Spirito.
Nel corso del XVII secolo molti furono i casi di peste in Italia: ricordiamo la peste bubbonica scoppiata a Palermo nel 1624, a seguire quella del 1630 portata dalle truppe francesi e imperiali, scese nella penisola per la guerra di successione del ducato di Mantova, si estese nelle zone del nord e il centro Italia. La prima città ad essere colpita fu proprio Mantova e i suoi 50mila abitanti si ridussero a settemila. E ancora Milano, Bologna, dove si ebbero 13.398 vittime su una popolazione di 61.559 abitanti solo nel centro urbano. Molte altre le città colpite Ferrara, Firenze, Borgonovo, Mondovì, Occimiano, Roma e molti i Camilliani che accudirono senza sosta gli appestati. Furono incaricati dello spurgo delle lettere o sanificazione, come si direbbe oggi e sia le cose che le persone provenienti da luoghi sospetti venivano poste in quarantena nelle loro case o nei lazzaretti e potevano essere accostate solo da chi era incaricato di assisterli molti dei quali erano religiosi camilliani che in tanti persero la vita durante il loro servizio, non solo in Italia, ma anche in molte altre parti del mondo.
Con il passare dei secoli la loro dedizione non è venuta meno e, sia pur con mezzi diversi adeguandosi ai tempi, hanno continuato la loro opera ad esempio verso i malati di lebbra in Cina, Tailandia, Filippine, Africa, Brasile, o nei confronti dei malati diti di TBC, e ancora verso ai pazienti affetti dall’ HIV/ AIDS ed Ebola, e nelle varie guerre dei secoli scorsi.
Per far fronte alle catastrofi naturali e alle emergenze socio sanitarie è stata istituita la CADIS “Camillian Disaster Service International (CADIS) Foundation”, fondazione legalmente registrata presso il governo italiano e nata dalla trasformazione della ex Cammillian Task Force creata in occasione del Capitolo Generale del 1995. Terremoti, tsunami, cicloni, tifoni epidemie, ma anche siccità sono stati i principali scenari di intervento in cui i Camilliani si sono misurati in Africa, Asia, America e Europa.
Oggi, questa che chiamano Pandemia e la paragonano ad una guerra, ma in guerra bene o male sai chi è il tuo “nemico”, sai da chi ti devi proteggere, in questa, il nemico è invisibile, è subdolo e se ti prende ti toglie il respiro. Il respiro, quella cosa preziosa che solo oggi consideriamo essere vitale. In un tempo in cui siamo distratti per lo scorrere frenetico del tempo, perché presi da mille pensieri e problemi che ci sembravano insolvibili e che scopriamo essere ironicamente superficiali, quel tempo che pensiamo di non poter sprecare per stare con i nostri cari, con i nostri anziani, pensando che sia una perdita di tempo prezioso per i nostri impegni, facilmente procrastinabili, in un tempo in cui non siamo più abituati a gesti di affetto, a una carezza ad un sorriso ad un abbraccio, ma dove la competizione, la sopraffazione del prossimo per far sentire la nostra voce individuale prepotentemente sull’altro, dove l’arroganza ha preso il posto della gentilezza, della comprensione, della compassione. Ebbene questo tempo si è fermato, e ciò è dovuto ad un minuscolo e invisibile virus dal nome Coronavirus. E’ calato il silenzio su di noi, la paura per un nemico invisibile e che costringe tutti noi, o almeno la maggior parte, ad aprire gli occhi, a guardare oltre la nebbia, aprirli verso un cielo azzurro e terso, il cielo che tutti possiamo vedere in questi giorni, dove il traffico si è fermato, gli aerei non sorvolano più i continenti per trasportare sempre più persone da un luogo all’altro del mondo alla ricerca di qualche cosa che li stupisca, nuove avventure, nuove occasioni, ma portando sempre nel proprio bagaglio, un senso di solitudine, di vuoto. Eppure l’uomo può guarire andando a ricercare nel profondo del suo DNA quei semplici sentimenti che tutti noi abbiamo scritti nei nostri geni, sentimenti semplici: prossimità compassione comprensione, vicinanza, collaborazione, amore, che si mostrano attraverso uno sguardo, un sorriso, una carezza, un abbraccio, tutte cose che oggi, in questo isolamento forzato, ci sembra impossibile fare e, quando potevamo farlo….?
Per i camilliani l’impegno e la dedizione restano le stesse rimangono uguali a quelle insegnate dal loro Fondatore. Non hanno trascurato i valori essenziali che noi rimpiangiamo in questo momento e oggi come allora sono chiamati ancora una volta in prima linea accanto ai malati in questa terribile pandemia che ha rapidamente invaso tutto il mondo, spesso accompagnando le persone nel trapasso in un momento in cui le stesse erano private della possibilità del conforto e della vicinanza dei loro familiari.
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