«Da ricco imprenditore che era, si fece povero», donando tutti i suoi averi e se stesso. Negli anni della giovinezza e della prima maturità imparò a coniugare il lavoro con una saggia amministrazione dei suoi bene e una carità sociale sempre più attenta e operosa. Poi, quando le circostanze lo portarono a stringere amicizia con alcuni missionari brasiliani, concluse: «Non basta dare un aiuto economico. Bisogna condividere con i poveri la loro vita, almeno quanto è possibile. Sarebbe troppo comodo che me ne stessi qui a fare la vita agiata e tranquilla, per poi dire: “Il superfluo lo mando là”. Io sono chiamato ad andare a vivere con loro!».
Si trasferì a Macapà dove fondò e diresse un ospedale «per i più poveri dei poveri» e un confortevole lebbrosario a Maritubam trascorrendo in Brasile gli ultimi diciotto anni della sua vita, disseminandovi «opere e opere»: case di cura, scuole, villaggi, lebbrosari, conventi, seminari, chiese, sedi di volontariato; spingendosi fino a Belo Horizonte, alle favelas di Rio de Janeiro, e ai confini con la Bolivia.
Un amico che ogni tanto andava a trovarlo in missione gli ha dato questa testimonianza: «Candia era dinamico, sicuro di sé, abituato a comandare e a parlare sempre lui. Era un uomo generoso, benefico, che aveva grandi mezzi a disposizione, ma con la coscienza di averli e di saperli usare…. Ma ogni volta che tornavo in Amazzonia lo trovavo cambiato. Si era reso conto di aver bisogno di tutti per realizzare le sue aspirazioni. Era un cambiamento notevolissimo: da uomo al centro del suo mondo, stava diventando servo di tutti… Si sentiva davvero al servizio di coloro che Dio gli faceva incontrare…». Sulle pareti della sua abitazione in Brasile aveva fatto scrivere: «non si può condividere il Pane del cielo, se non si condivide il pane della terra».
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