Osservazioni a margine all’Incontro Internazionale della Famiglia Carismatica Camilliana (Roma, 10-14 marzo 2019)
di Paolo Guarise
L’aereo della Emirates proveniente da Nairobi ha atterrato in tempo. Siamo giunti a Fiumicino come previsto. Mezz’ora di treno e siamo presto arrivati alla Casa generalizia della Maddalena dove erano già arrivate diverse persone da svariate parti del mondo: Benin, Vietnam, Spagna, Ungheria, Tanzania, Brasile, Perù, eccetera. L’Incontro, però, non si è svolto alla Maddalena, poiché la Casa non ha spazi sufficienti per ospitare 80 persone, tutte camilliane, costituite da suore, sacerdoti, fratelli, donne e uomini laici che sono giunti in rappresentanza della Famiglia Carismatica Camilliana.
La Famiglia Carismatica Camilliana
E’ la prima volta che viene usata questa espressione “La Famiglia Carismatica Camilliana”. E’ frutto di una felice intuizione del Superiore Generale dei Camilliani P. Leocir Pessini. E’ P. Leo che ha avuto l’idea di riunire uomini e donne che realizzano – quotidianamente – sotto l’egida del loro istituto, il carisma di S. Camillo de Lellis, il Santo dei malati. Otto sono infatti gli Istituti, riconosciuti dalla Chiesa, che esercitano il carisma camilliano testimoniando l’amore misericordioso di Cristo verso i malati. Essi sono i Ministri degli Infermi (Camilliani), le Suore delle Ministre degli Infermi di S. Camillo, le Figlie di S. Camillo, le Ancelle dell’Incarnazione, le Missionarie degli infermi Cristo Speranza, le Kamillianischen Schwestern, le Stella Maris e i membri della Famiglia Camilliana Laica.
Su Internet e sui bollettini camilliani possiamo leggere i documenti del Convegno e le sequenze del suo svolgimento. L’intento di questa breve testimonianza, invece, è di ragguagliarvi su un’attività che è parte integrante di ogni convegno internazionale: la traduzione simultanea, vista da un’angolatura dello stesso traduttore.
Cerchiamo di immaginare quale sarebbe il risultato di 80 persone, provenienti da 20 nazioni diverse, che vogliono comunicare fra di loro e far giungere il loro punto di vista nel corso dei 4 giorni che si trovano insieme. Le prime ore sarebbero certamente interessanti tra scambi originali di saluti e frasi fatte come: How are you, Que tal, Comment va tu, Habari gani, Che bello rivederci, e via dicendo. Ma una volta esaurita la scorta di saluti convenzionali nelle tre-quattro lingue di cui possediamo qualche conoscenza, arriva la crisi, o meglio la Babele perché un Convegno Internazionale per l’approfondimento del carisma camilliano non è un incontro di amici allo stadio.
Da qualche anno la Segreteria della Consulta Generale invita tre confratelli a venire incontro alle esigenze di traduzione nelle quattro lingue maggiormente parlate dai confratelli camilliani: l’italiano, l’inglese, lo spagnolo e il francese.
Dolori
Cominciamo col parlare dei “dolori” di questo lavoro, per finire con l’illustrare le “gioie” che tale esercizio sa regalare ai suoi praticanti.
Il primo dolore inizia alcuni giorni prima del grande giorno, quando ti assalgono i primi sentimenti di inadeguatezza e incapacità. Infatti ti vengono alla mente pensieri come: “Sarò in grado di far fronte a questa sfida? E se non capissi la pronuncia (tipo inglese parlato con la patata in bocca) di chi parla? Una volta mi trovai nel Sud dell’Irlanda, a Skibbereen, nella contea di Cork. La lingua parlata in quel luogo è naturalmente l’inglese, ma la pronuncia è terribile. Per i primi due-tre giorni che la sentivo era quasi incomprensibile, poi mi ci sono abituato… ma il Congresso al quale ero stato chiamato a lavorare non ha aspettato 2-3 giorni per il mio ambientamento…
Però la paura maggiore di un traduttore simultaneo è la rapidità di colui che parla. Questo avviene particolarmente quando una persona legge la sua parte: siccome non deve pensare a quello che dice (perché è già scritto), corre a rotta di collo, cosicchè il traduttore – che già si trova in un bagno di sudore nella sua casamatta (postazione) priva di aria – non riesce a star dietro a colui che parla e prima o dopo “scoppia”, cioè smette di tradurre perchè proprio non ce la fa a starci dietro. Per fortuna talvolta chi parla si accorge del traduttore in pena che si sbraccia al di là del vetro della sua postazione e riduce la sua lettura “a raffica”. Oppure qualcuno degli ascoltatori in sala, dopo essersi tolto la cuffia sbotta verso l’oratore: scusi, parli un po’ più lentamente perché i traduttori sono “cotti”.
Un’altra paura del traduttore simultaneo è rappresentata dalle parole “in gergo”. Tali parole vengono pronunciate con tanta naturalezza e quasi per sfida dall’esperto in materia, ma chi le sente per la prima volta è come se sentisse uno che parla arabo! Questo è accaduto in Kenya all’inizio della mia attività missionaria quando dovevo tradurre dall’inglese all’italiano e il kenyota che parlava usava di frequente espressioni in lingua swahili: “Questa è una grande sfida per il mondo di oggi”, diceva. Però non usava la parola inglese challenge (sfida), ma la parola swahili changamoto, del tutto oscura per me, a quel tempo. Per questo quando parla uno specialista (ad esempio un biblista, o un giurista) si dovrebbe avere anzitempo il testo della sua relazione in modo da rilevare le parole “in gergo” ed aiutarsi col dizionario.
Un’altra componente critica del traduttore simultaneo è la durata del suo lavoro. Vale a dire: quanto rimane nella sua casamatta a tradurre, prima di fare una pausa? Quanto dura la sua “apnea”? Talvolta questa dura due o tre ore senza interruzione, che è un tempo infinito per un traduttore, in quanto ci mette anche l’anima per riuscire bene nella sua impresa.
Gioie
E veniamo alle “gioie” o soddisfazioni che questo esercizio porta con sé. Direi che la prima gratificazione che si prova nell’esercitare questa incombenza è quella di incontare tante persone (confratelli, consorelle, amici) in poco tempo e poter fare conoscenza con loro, scambiare idee, vedute ed esperienze. Quanti anni ci vorrebbero, in condizioni normali, per incontrare confratelli e consorelle che abitano così lontani da noi? Basti pensare a quelli che sono venuti dal Vietnam, dall’Australia, da Taiwan, dall’Argentina, dal Brasile. Parecchi di questi camilliani/e venuti da lontano li avevo incontrati nel corso delle visite pastorali che avevo fatto come Consultore generale. Ma ho impiegato, all’epoca, sei anni per vederli… qui in 6 giorni li ho visti tutti!
E’ una bella soddisfazione essere salutati e sentirsi dire: “Grazie per la traduzione chiara e fedele. Come hai fatto a star dietro a quella mitragliatrice?”. E’ evidente che tali congratulazioni non sono sempre del tutto sincere. Infatti riconosco che non sempre la traduzione è “chiara e fedele”. Tuttavia è sempre gratificante ricevere un feedback, che rimane un gesto di simpatia e di incoraggiamento.
E’ stato pure piacevole udire da una Sorella la seguente dichiarazione: “Padre, io capisco abbastanza bene l’italiano e non è la prima volta che ascolto un’omelia del P. Leo, ma la traduzione in inglese che lei ha fatto dell’omelia di stamattina durante la Messa mi ha ricaricato. Lei ha colto in pieno lo spirito e la profondità interiore del suo Superiore”. “Sorella – ho rincalzato – ringrazi il Superiore Generale P. Leo e lo Spirito Santo per l’entusiasmo di cui è tuttora pervasa. Il mio lavoro è stato quello di un semplice operaio che trasforma la pasta, per così dire. Quello che è importante è la qualità della pasta, e cioè della materia prima!”.
Un confratello mi ha confidato: “Vedi, Paolo, io ho studiato l’inglese per diversi anni, nei ritagli di tempo. A leggerlo me la cavo abbastanza, a parlarlo un po’ di meno, a capirlo – specialmente se uno parla in fretta – diventa per me un martirio. Quando, entrando in sala, ti vedo seduto nella tua postazione mi metto il cuore in pace, perchè gusto il relatore del momento e gli interventi che gli fanno”.
La stretta di mano di Papa Francesco
Dulcis in fundo: una gioia grande portatami da questo Incontro Internazionale è l’avere incontrato di persona Papa Francesco. Infatti, grazie ai buoni uffici delle suore Figlie di S. Camillo, i membri della Famiglia Carismatica Camilliana sonno stati accolti in udienza privata da Papa Francesco, il quale ha personalmente stretto la mano a tutti e ha detto – tra l’altro – che “Il cristianesimo senza tenerezza non va”.
Non vado oltre. Penso di avere descritto con sufficienza di particolari questo esercizio che svolgo con pazienza e dedizione. Non sono un professionista del settore. Non ho fatto nessuno studio al riguardo: sono completamente self-made, autodidatta. Chiedo scusa se talvolta non sono all’altezza della situazione (anche i relatori, però, talvolta hanno le loro colpe!). Il lavoro di traduzione simultanea è un esercizio difficile, molto esigente e stressante. Tuttavia è un’ incombenza che svolgo volentieri come servizio ai confratelli e consorelle, come occasione di crescita, nella reciproca conoscenza delle tante braccia che realizzano il carisma di S. Camillo. Di questo sono riconoscente alla Segreteria della Casa Generalizia, per avermi dato questa opportunità.
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