Nei giorni che ci hanno preceduto – caratterizzati dalla partenza di p. John Toai per la Liberia, di p. Aris Miranda per la Sierra Leone e dalla Tavola Rotonda congiunta dell’associazionismo umanitario cattolico alla Maddalena – siamo stati particolarmente sensibilizzati sull’emergenza di Ebola in terra d’Africa, che sta colpendo in modo particolarmente drammatico la Sierra Leone, la Guinea Conakry e la Liberia.
Dalla diagnosi e dal confronto dei dati oggettivi raccolti in loco e dalle testimonianze di chi già opera sul campo, è emerso un quadro piuttosto drammatico. La drammaticità è legata al “brodo ci cultura” che ha generato Ebola e che fa intuire che Ebola è solo una terribile aggravante di una situazione più complessa fatta di lunghe guerre civili, di corruzione, di sfilacciature nella leadership politica (in tre mesi si sono alternati tre ministri della salute in Sierra Leone!), civile e religiosa. Questo ha comportato il collasso – sotto l’urto prepotente del massiccio contagio di Ebola – di un sistema sanitario già molto fragile ed impreparato, mancante anche della strumentazione primaria per il primo screening diagnostico di contagio che permetta quindi una prima forma di triage dei malati; il tutto aggravato dal fatto che Ebola sta colpendo duramente non le tradizionali zone rurali, ma i grandi centri urbani più densamente abitati.
In questo catastrofico mix di elementi negativi, si muore di Ebola, ma contestualmente la gente muore di malaria e di parto (per paura di ulteriori contagi e non avendo mezzi per una veloce diagnosi del contagio – paradossalmente! – i pochi ospedali presenti sono stati chiusi e come tale i morti per malattie tropicali endemiche sono aumentati in modo esponenziale e l’accesso alle basilari terapie e vaccini, al costo di pochi dollari, rimane un miraggio per la maggior parte della popolazione); la gente muore di fame (il coprifuoco e le altre iniziative tipo “cordone sanitario” tendono a ridurre al minimo gli spostamenti per contingentare le possibilità del contagio, ma l’esergo di queste decisioni è che l’approvvigionamento dei beni primari di sussistenza è più difficile; gli scambi di merci sono rallentati e l’inflazione che solitamente si fa sferzante nei momenti di crisi sta facendo lievitare vorticosamente i prezzi); la gente muore per ignoranza (a livello sociale è necessaria un’azione di sensibilizzazione costante nelle comunità fin nelle zone più remote, perché tutti siano consapevoli dei rischi, di come identificare il virus, di quali siano le raccomandazioni da seguire per prevenirlo; in questo ambito i leader religiosi sono invitati a spendere la loro naturale autorità per informare, far conoscere, creare un minimo di educazione sanitaria e di prevenzione).
Se questa è la diagnosi – pur sommaria della situazione – si possono ricavare vari ambiti di interventi per il nostro Istituto, realisticamente consapevoli dei nostri limiti in termini di risorse umane, di mezzi logistici, organizzativi e di strumentazione tecnica.
Concretamente, dopo il primo sopralluogo del confratello p. John Toai a Freetown in Liberia, è partito il Consultore generale p. Aris Miranda per la diocesi di Makeni in Sierra Leone come prima risposta all’appello di p. Natale Paganelli, amministratore apostolico di quella realtà ecclesiale.
L’impegno si struttura su tre livelli: 1. il supporto per la valutazione delle condizioni per la riapertura – con una garanzia minimale di sicurezza per malati ed operatori sanitari – dell’ospedale diocesano Holy Spirit; 2. il sostegno all’azione ecclesiale offrendo un supporto di natura pastorale e di counseling per una popolazione spaventata e per la quale la paura è generatrice non solo di angoscia ma anche di atteggiamenti imprudenti che rischiano di esporla a rischi ulteriori (i testimoni raccontano di predicazione “pseudo-religiosa” che invita a leggere Ebola in termini punitivi sa parte di Dio secondo la ben nota logica dei pseudo-amici di Giobbe); 3. azioni concrete di supporto per la comunità locale in termini di accoglienza del numero sempre maggiore di bambini orfani e per una sempre maggiore sicurezza alimentare.
La diagnosi e il progetto concreto di offerta di aiuto da parte di una piccola Camillian Task Force che si sta organizzando e coagulando attorno alla persona di alcuni confratelli, chiedono a tutti noi camilliani l’apporto di una rinnovata sensibilità verso questa emergenza: come già qualcuno ha rilevato, essa sembra riportarci agli albori del nostro Ordine, alla radice del nostro carisma con l’esercizio semplice e coriaceo del nostro quarto voto religioso.
A noi – credo! – competa l’impegno della simpatia, del sostegno di questa piccola avanguardia camilliana, attraverso la potente intercessione della preghiera al Signore Gesù perché custodisca l’integrità fisica e motivazionale di questi confratelli e di tutti quegli uomini e donne di buona volontà che li corroboreranno con la loro professionalità; dell’animazione e sensibilizzazione degli spazi amicali o ministeriali che frequentiamo al fine molto pratico di reperire risorse economiche non solo per rispondere all’urgenza contingente, ma per gettare le basi solide di progetti concreti da sviluppare in loco, soprattutto quando il chiasso mediatico e i fari della ribalta si saranno spenti su queste martoriate zone del nostro pianeta!
Opportunità di animazione carismatica per le nostre comunità religiose ed ecclesiali – a partire dal format del “piccolo diario di bordo dei religiosi e dei volontari impegnati in loco” – preghiera, fundraising, … ci faranno sentire ancora più convintamente cittadini del mondo, inteso non come “atomo opaco di male” (G. Pascoli, X Agosto), non come “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Dante, Paradiso XXII, 151), ma collaboratori di quella terra amabile ed amata da Dio, che ancora oggi non si stanca di guardarla e di guardarci per scorgere in essa e in noi dei segni e poter continuare a ripetere: “e vide ed era cosa molto buona” (Gen 1,31)!
Gianfranco Lunardon
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