Gli uomini cercano, nel loro agire, un motivo per essere felici. Per i religiosi/e il motivo della felicità dovrebbe essere la fedeltà all’amore verso Dio che si traduce nel servizio ai fratelli. È in lui che essi riscoprono il loro vero ben-essere, perché la loro vocazione diventi gioia per gli altri.
Qualche te fa alcuni giovani belgi hanno intervistato papa Francesco e gli hanno posto una domanda a bruciapelo: “Lei è felice? E perché?”.
“Assolutamente, assolutamente, sono felice! E sono felice perché … non so perché … forse perché ho un lavoro, non sono disoccupato, ho un lavoro, un lavoro da pastore! Sono felice perché ho trovato la mia strada nella vita e percorrere questa strada mi rende felice. Ed è una felicità tranquilla, perché a questa età non è la stessa felicità di un giovane, c’è una differenza. Una certa pace interiore, una pace grande, una felicità che viene anche con l’età. Ed anche con un camino che ha avuto sempre problemi; anche adesso ci sono i problemi, ma questa felicità non va via con i problemi: vede i problemi, li soffre e poi va avanti: fa qualcosa per risolverli e va avanti”.
La riflessione del papa offre molti spunti di riflessione sul senso di una vita felice, ma non è facile realizzarla. Per questo è importante riscoprirne il senso lungo il processo di crescita della persona, per viverla giorno dopo giorno nelle proprie scelte concrete.
Se l’obiettivo finale di ogni vocazione è la comunione profonda con Dio, l’anelito a realizzare felicemente la propria vocazione porta a fare i conti con il senso più profondo della propria esistenza intesa come dono per gli altri.
L’essere umano non HA una vocazione, ma È essenzialmente vocazione: essa rappresenta un elemento costitutivo della sua esistenza. Egli è chiamato ad essere e a maturare il dono della vita; è invitato ad uscire da sé per realizzare l’incontro con l’altro e partecipare attivamente nella creazione di un mondo nuovo.
Non c’è felicità vocazionale che non generi una nuova solidarietà e un nuovo modo di stare insieme, per rendere visibile l’amore di Dio nella convivenza con gli altri.
Questo cammino educativo non si esaurisce in un benessere relazionale a proprio uso e consumo, casomai fatto di illusorie simpatie o di false cortesie. È invece co-partecipazione attiva ed operosa alla creazione di Dio, a cui ogni creature collabora attraverso questo senso di condivisione e di adesione al mondo dell’altro.
Si tratta di un processo di apertura che spinge la persona a proiettarsi fuori di sé piuttosto che ripiegarsi su se stessa o suoi propri bisogni autoreferenziali. Anche nella Vita Consacrata è importante puntare ad un benessere che va oltre le cose, perché centrato sull’amore di Dio e sul servizio dei fratelli.
Nella sua lettera ai Consacrati, papa Francesco ha dato delle risposte che possono diventare un percorso di vita.
“Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici”. È la prima delle attese, ma è la più importante: fare esperienza di comunione con Dio e vedere che solo in lui trova compimento ogni aspirazione di benessere.
È urgente riscoprire il carattere profetico della propria consacrazione. Perché solo la forza della profezia può scuotere dal rischio di false felicità a basso prezzo. Oggi più che mai i Consacrati sono chiamati a non accontentarsi di facili compromessi o di una vita fatta di false etichette spirituali.
Occorre realizzare una spiritualità di comunione fatta di amore più che di belle intenzioni. In quanto “esperti di comunione”, ci attendiamo che la convivenza sia vissuta come una opportunità di crescita e non come un fardello da sopportare. Di conseguenza, “critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di abitare nelle nostre case”.
Aspettiamoci di essere sempre più il volto visibile di una chiesa in uscita, capaci cioè di andare verso quelle periferie esistenziali che esigono una testimonianza efficacie ed autentica. È certamente molto più facile e rassicurante rinchiudersi nei propri schemi e nelle proprie certezze spirituali piuttosto che affrontare l’incertezza dell’incontro con l’altro, in modo particolare con i poveri e gli ultimi.
“Mi aspetto che ogni forma di Vita Consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano”. È importante sapersi mettere in discussione, interrogandosi sul senso dell’essere consacrati oggi.
La nostra esistenza consacrata dovrebbe rendere testimonianza di amore a Cristo, contenti di assumere lo stesso stile di vita che Cristo scelse per sé. Solo così impareremo a vivere le scelte quotidiane con sentimenti di vera gioia, contenti di realizzare un progetto di vita che va oltre la soddisfazione di un momento ma ha come obiettivo ultimo quello di una felicità aperta al trascendente.
Da Testimoni 5/2015
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