Convegno internazionale dei religiosi camilliani cappellani ospedalieri – 1 Giorno

IMG201611041537014 novembre 2016

Nel pomeriggio del 4 novembre, si è aperto a Roma, presso la Casa Generalizia dei Fratelli delle Scuole Cristiane il Convegno internazionale dei Religiosi Camilliani impegnati come cappellani negli ospedali come cappellani. Come ha spiegato padre Aris Miranda, Consultore generale dell’Ordine per il ministero, nell’introduzione al convegno, scopo dello stesso è di ridisegnare il ruolo del cappellano nelle società cui apparteniamo e nelle culture che vi si sono sviluppate (altro è ad esempio l’Europa e tutta l’area occidentale, altro sono i paesi dell’Estremo oriente, dell’Africa o dell’America Latina).

          “Come cappellani camilliani” ha detto padre Miranda, “siamo chiamati a portare testimonianza del volto trasfigurato di Cristo presso i malati e i sofferenti. Siamo noi stessi chiamati a un’esistenza trasfigurata incarnando nelle nostre situazioni, diverse da luogo a luogo, il carisma che il Signore ha messo nelle nostre mani”.

Non si tratta di privilegiare il ministero del cappellano nei confronti degli altri ministeri, ha poi precisato p. Miranda, bensì di capire, con l’aiuto reciproco, “parlando delle nostre esperienze, ascoltandoci, parlando di noi stessi, come il nostro ministero oggi risponda ai reali bisogni di chi è nella sofferenza”.

Per i Camilliani, si tratta di rivisitare in certo senso questo ministero specifico (ricordiamo che questi religiosi emettono un “quarto voto” di presenza accanto al malato anche a rischio della propria vita), di custodire la sua centralità nella spiritualità camilliana, di valorizzarlo con creatività, di esplorarne i valori essenziali.

Dopo la prolusione di padre Aris e le presentazioni del folto gruppo presente (una sessantina circa, con molti volti giovani), i lavori sono proseguiti con la relazione di padre Frank Monks dall’impegnativo titolo: “La dimensione profetica del carisma nel mondo della salute”.

Una relazione densa e corposa, quella di p. Monks: densa per le sollecitazioni e corposa per la documentazione che si comprende sottostare alle considerazioni del relatore; soprattutto se pensiamo che oggi, i religiosi vivono e operano in un mondo ampiamente secolarizzato.  LEGGI QUI IL TESTO COMPLETO

Monks ha esordito in maniera provocatoria affermando che nessuno può insegnare a un cappellano come svolgere il suo ministero e che la teoria non può far premio sulla prassi.

Una delle prime sfide che si presenta al cappellano oggi, è quella delle diverse culture e sistemi sociali in cui si trova a svolgere il suo ministro. Occorre essere profetici, cioè parlare per conto del Signore, là dove si è impiantati. Non si deve mai dimenticare che il ministero del cappellano deve avere sempre una forte dimensioni di evangelizzazione.

Un’altra grande sfida attuale è data dalla difficoltà di “dire” la fede oggi. Qualcuno ha affermato che “la fede è ora un linguaggio straniero” in un mondo altamente secolarizzato; quindi occorre essere profetici in un mondo in profondo cambiamento, confrontandoci con queste realtà anche ostili.

La secolarizzazione, in ogni caso, sembra non aver portato a una totale ignoranza del fatto religioso: chiede una sua autonomia, ma non respinge necessariamente un annuncio cristiano, né il discepolato.

Ci sono vari modi per il cristiano per affrontare la secolarizzazione: o con assoluta ostilità o adattandosi in certo modo accettando acriticamente le proposte e i linguaggi. Davanti a questi fenomeni culturali e sociali occorre comportarsi come l’apostolo Paolo con gli ateniesi: accorgersi, oltre il loro scetticismo, della loro sete di spiritualità.

Uno dei più gravi problemi, che quindi pongono sfide, che oggi ci troviamo ad affrontare è l’incapacità di vedere e dare un senso alla propria vita. E in questo possiamo davvero essere “voce di Dio”.

Non dobbiamo aver paura della tenerezza, come sostiene papa Francesco, perché “soltanto la tenerezza può cambiare il mondo”. Il nostro battesimo ci abilita all’evangelizzazione: dire la “buona novella” è il segno distintivo della tenerezza, della misericordia del Signore. Siamo in una situazione di difficoltà, ma con il nostro Fondatore, non dobbiamo perdere il coraggio. Perché sappiamo di non poter dare da noi stessi speranza: abbiamo bisogno di un aiuto dal di fuori.

IMG20161104153655           Che cosa significa, allora, essere profetici oggi? Significa parlare (del Signore) a un uditorio ce forse non vorrebbe sentire: per questo dobbiamo ricorrere a uno strumento potente, il carisma donato dallo Spirito a san Camillo. Il carisma, come dice la stessa parola, è un dono, una “esperienza dello Spirito” che il fondatore trasmette ai suoi discepoli. Dobbiamo ricorrere a questo strumento senza nostalgie per un passato irripetibile, ma con la stessa radicalità “rivoluzionaria” del Fondatore.

            La Chiesa ha bisogno del nostro carisma, perché è un dono del Signore al suo popolo: dire l’amore appassionato di Cristo per i sofferenti, sempre al centro della vita e della predicazione del Salvatore. Per Camillo, per tutta la sua vita e il suo ministero, Cristo è stato al centro; è stata una “fiamma” che l’ha sempre fatto ardere, che l’ha “consumato”.

Possiamo quindi parlare di una spiritualità camilliana, al centro della quale sta una semplice ma basilare scoperta: sono un peccatore amato da Dio; e questo va proclamato con le parole e con le opere. Possiamo affermare che la spiritualità camilliana è la spiritualità dell’ordinario, del quotidiano; è la “spiritualità dell’Incarnazione”. Ci fa individuare la presenza del Signore nella storia, nei segni dei tempi. Scopriamo che è lo stesso impegno forte per i poveri, per i sofferenti che ci sostiene.

La spiritualità camilliana richiede un forte senso della missionarietà e della collaborazione: ciò che si fa insieme è “meglio”. La spiritualità camilliana è una spiritualità “adulta”, incentrata sulla persona, sull’individuo che non va confuso nella massa, massificato.

Che tipo di preparazione occorre, allora, per corrispondere a questi dati? Non si tratta di acquisire competenze teoriche, bensì di guardare alla propria interiorità, prendere coscienza della propria vulnerabilità. Questa senza sottostimare la formazione spirituale che come cristiani e camilliani dobbiamo coltivare. San Camillo è stato un eccellente esempio di come la Grazia abbia lavorato sulla natura dell’uomo, donandogli la vera libertà dei figli di Dio. Ed è questa libertà che ci rende profetici.

       Conoscere, amare e servire sono i tre verbi che distinguono la camillianità così come a vita del battezzato. Come san Camillo che fu un “uomo del mondo” e divenne “uomo di Dio” anche noi possiamo tentare di seguire il suo stesso esempio.

Alla relazione di padre Monks ha fatto seguito il lavoro di gruppo. I partecipanti si sono divisi in gruppi linguistici: tre per l’inglese, uno per l’italiano, uno per lo spagnolo e uno per il francese. I gruppi hanno lavorato su quattro quesiti che si possono così riassumere: se si crede di essere chiamati alla profezia; se esiste un approccio tipicamente camilliano alla malattia e ai malati; quale importanza ha la coscienza di un apporto originale del carisma camilliano nell’approccio ai malati; dove trovare le motivazioni del ministero.

Tutti i gruppi hanno risposto affermativamente alla domanda se ci si sente chiamati ad essere profeti nelle proprie realtà, pur con qualche coloritura diversa dipendente dalle differenti culture dei Paesi in cui ci si trova ad operare. Anche alla seconda domanda, sulla possibile esistenza di un approccio camilliano alla malattia, ai malati, la risposta è stata positiva da parte di tutti. Una sottolineatura particolare: l’approccio “camilliano” è apprezzato non soltanto dai sofferenti, ma anche dal personale che viene a contatto con i cappellani camilliani; anche questi ne riconoscono la peculiarità. Essere consci di questa originalità nell’approccio della sofferenza fa agire in maniera originale anche nella vita personale. È la vita stessa condivisa con i malati a dare la motivazione principale se non unica al ministero.

  La giornata si è conclusa con la concelebrazione eucaristica presieduta da Mons. Andrea Manto, direttore dell’Ufficio Pastorale della salute del Vicariato di Roma. Nell’omelia, Mons. Manto ha sottolineato la peculiarità dell’apporto camilliano alla pastorale della salute.

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