Commento al Vangelo – 14 Agosto 2022

Padre Gianfranco Lunardon, Vicario generale dell’Ordine, nel mese di agosto sarà ospite della trasmissione di Radio Vaticana “Lampada ai miei passi”  per commentare il vangelo domenicale.

Il programma, che andrà in onda ogni venerdì alle 6.35 e in replica alle 20.30, è curato da Monia Parente e potete ascoltarlo cliccando qui 

XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – 14 agosto 2022

O Dio, che nella croce del tuo Figlio
riveli i segreti dei cuori, donaci occhi puri,
perché, tenendo lo sguardo fisso su Gesù,
corriamo con perseveranza incontro a lui, nostra salvezza.

Croce – cuori svelati – occhi puri – sguardo fisso su Gesù – corsa perseverante, sembrano essere queste le coordinate che la preghiera di colletta ci offre, per incastonare le letture bibliche di questa XX domenica del t.o., quest’anno vigilia della solennità dell’Assunzione di Maria al Cielo!

Sono un invito a riflettere sull’identità ed il ruolo del profeta (nella prima lettura), del credente (nella seconda) e della comunità (nel Vangelo), cioè sugli atteggiamenti che, dobbiamo avere nei confronti del mondo in cui viviamo, per essere coerenti con la Parola che Gesù ci ha annunciato.

La necessità che si impone al credente, come singolo e come comunità, in un reciproco confronto e conforto, è di scegliere e decidersi per il bene morale proprio in radice della sua personale e comunitaria adesione di fede al Signore, senza alcun indugio o parcellizzazione, ma in modo realistico e radicale.

Si apre la grande riflessione sulla presenza del credente in Gesù dentro la storia concreta, di ogni giorno. L’identità del cristiano nasce proprio dall’incontro con Gesù Cristo, ma poi si prolunga e si performa più precisamente nella decisione che la persona assume nella sua quotidianità: attraverso il dinamismo della coscienza, dell’intelligenza e della libertà credente, si entra nella purificazione delle motivazioni, dei valori, degli orientamenti, delle relazioni, condizionando le scelte successive della persona.

Si tratta di riscoprire la dialettica evangelica della comunità dei discepoli di Gesù che è chiamata a “STARE nel mondo, pur senza ESSERE del mondo”.

È stato detto, a questo proposito, che la religione era l’oppio dei popoli, ottundimento e illusione. Nell’intenzione di Gesù il Vangelo è invece visione, coraggio, creatività, fuoco.

Dietrich BONHOEFFER, pastore e teologo tedesco, impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg, osservando l’inerzia, il mutismo dei suoi contemporanei, cristiani compresi, di fronte al totalitarismo e alla sua barbarie, chiosava: “I cristiani che stanno con un piede solo sulla terra, staranno con un piede solo anche in paradiso“. Come a dire: voi, adesso, siete responsabili di tutto. Il mondo è vostro. Non chiamate più in causa Dio. Adesso, la storia dipende da voi!

La prima lettura mostra il valore del profeta che, in quanto ‘coscienza critica del vivere religioso e civile’, continua a richiamare il popolo alla fedeltà all’alleanza; continua a gridare l’imperativo ‘convertitevi’ a cui far seguire l’indicativo di una rinnovata e coerente prassi di vita.

Geremia rifiuta di dire che “tutto va bene”, come vorrebbero i potenti consiglieri del re Sedecia. È accusato di non offrire parole di pace, rassicuranti promesse capaci di infondere a soldati e popolo il coraggio di continuare a resistere all’assedio babilonese. In una parola, accusato di disfattismo, egli sembra non cercare il benessere del popolo.

Bisogna impedire al profeta di parlare perché se parla disturba i cori del consenso organizzato, secondo i quali ‘sembra essere la statistica che determina poi l’etica’. Se la parola profetica non assicura benessere, reca molestia ai potenti, la si considera sovversiva e per tale motivo va soffocata con ogni mezzo, perché non si possono dire parole che il popolo non vuol sentirsi dire.

Se questa è la sorte e la fatica del profeta, non solo individuale ma anche come onere e onore battesimale, di popolo, di comunità profetica, allora si comprende la lode ma anche la supplica e la lamentazione del salmista.

Sebbene “Povero” e “infelice”, come si definisce il salmista, il credente forte della corroborante presenza di Dio nella storia, non si sottrae alla fatica e alla responsabilità del vivere da credente.

L’autore della lettera agli Ebrei, infatti, paragona la vita cristiana ad una gara di corsa. Parteciparvi non è una cosa priva di impegno come lo è partecipare a una passeggiata domenicale tra amici. Per prima cosa è necessario allenarsi, accompagnare la decisione con una dieta specifica, scegliere una squadra ed una divisa adeguata, priva di orpelli inutili che ci rallentano.

A questo si deve aggiungere la volontà di voler vincere, ci vuole determinazione se si desidera terminare la corsa e non ritirarsi a metà gara. Infine, dobbiamo guardare intensamente a Gesù per non perderci d’animo, resistere al peccato che ci fiacca le gambe, rende il respiro superficiale e convulso e pertanto inadeguato allo sforzo.

Gesù, nel vangelo fa un proclama che ci può lasciare alquanto perplessi: “Sono venuto a gettare il fuoco sulla terra … a ricevere un battesimo… a portare la divisione“. La parola del vangelo, che di solito è sorgente di unione, questa domenica si trasforma in una lama affilatissima, che incide in profondità e produce esclusivamente separazioni profonde.

La pace che Gesù porta non è quella dominata dalla assenza di guerre, ma quella priva di tenebre, sostanziata di verità  e protesa alla carità e alla promozione della ‘forma del vivere credente’. Questo genere di pace, di frequente, si sviluppa sotto il segno delle tensioni che arrivano a lambire anche gli ambiti degli affetti e delle relazioni profonde (la famiglia, il matrimonio, lo scarto generazionale, etc..).

Silhouette wood cross on meadow, autumn sunset scene

Il fuoco, l’acqua, la divisione.

Il fuoco. Il fuoco ha sicuramente una forza distruttrice, ma non è quella evocata dal vangelo di oggi, o meglio, è evocata la sua forza catartica e purificatrice.

Il fuoco che Gesù intende appiccare è il fuoco di chi dice basta alle mezze misure, è il fuoco di chi dedica il meglio di se stesso al bene e al bello, non solo le briciole del “se mi va, se mi sento”, è il fuoco che brucia l’inutile e il dannoso e prepara il terreno a una nuova semina.

E dopo il fuoco, ecco l’acqua!

È l’acqua in cui Gesù, per primo, si deve immergere: battesimo significa immersione, e i primi cristiani venivano immersi totalmente nell’acqua, per indicare la morte e la resurrezione. Ed è angosciato, o meglio ancora, schiacciato, perché quell’immersione è tutto il male che ricadrà su di Lui, il male e la morte assunti con l’incarnazione.

Ancora oggi, sebbene il male sembra prevaricare ogni desiderio di bene, là dove una persona dona il proprio cuore a Dio, il Signore è presente con la forza di quel fuoco che trasforma e plasma l’intimo dell’essere umano, il Signore è presente in quell’immersione di dolore e fatica che vivi per la tua fede.

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.

Gesù non contrappone pace e guerra, ma pace e divisione. Come il fuoco che distrugge ma purifica e nutre, anche la divisione è necessaria. È il bisturi che incide ed asporta le cellule malate, che crea necessariamente la ferita per evitare contagi più diffusi e con passione, poi, ne accompagna, medicazione dopo medicazione, la guarigione; è l’amore sapientemente chirurgico che incide fino a trovare nuova linfa; che innesta un nuovo germoglio che porterà frutto … certamente con pazienza e laboriosità!

Il fuoco, l’acqua, la divisione: per dire che Dio non è neutrale; non porta la falsa pace dell’inerzia, ma «ascolta il gemito» e prende posizione. La divisione che porta evoca il coraggio profetico di esporsi , «perché si uccide anche stando alla finestra» (L. Ciotti).

Sono venuto a portare il fuoco, l’alta temperatura morale in cui soltanto avvengono le trasformazioni positive del cuore e della storia.

Il Signore non è venuto a portare la pace, semplicemente l’ha affidata alle nostre mani.