Cinquecento anni di storia della Chiesa di Santa Maria del Paradiso (VERONA)

di Mario Bizzotto

La celebrazione di  500 anni dalla nascita della chiesa di  S. Maria del Paradiso ci invita a ripercorrere  un lungo lasso di tempo. Sono imprescindibili le notizie storiche, ma accanto a queste è altrettanto indispensabile cogliere il loro significato come è d’obbligo in una simile circostanza. Dietro gli eventi viene veicolato un messaggio, tanto più nel ricordare l’erezione d’una chiesa. Questa non si limita ad una iniziativa privata, anche se può partire da un singolo, è  espressione d’una comunità.

Le notizie storiche

I dati a disposizione sono riportati in modo denso e  preciso da una ricerca scritta e pubblicata a Verona nel 2009 dalla prof. Elena Benvenuto. La sua fatica è stata premiata da una abbondante raccolta di materiale inedito: date, nomi di personaggi legati all’argomento, situazioni locali, eventi, costumi e devozioni. Tutto questo ci risparmia dal peso di consultare archivi e scritti ed è pure motivo di riconoscenza da parte della comunità camilliana alla ricercatrice.

La data di inaugurazione della chiesa risale al  22 aprile 1519. Il Card. Marco Cornér consacrava il nuovo edificio. Promotori dell’opera sono i Servi di Maria dell’Osservanza. Precedentemente risiedevano fuori della mura di porta Vescovo.  Si trasferirono poi nell’attuale zona dove per loro iniziativa è sorta S. Maria del Paradiso. Data l’esigua disponibilità di liquidi ci si è dovuto accontentare dell’essenziale: muri, tetto e pavimento, rimandando ad altri tempi meno difficili il completamento della costruzione. Soltanto alla fine del secolo si è rimesso mano all’opera. Resta memorabile la data del 1630 quando Verona, come molte altre città della penisola, è stata colpita dalla peste lasciando una lunga lista di vittime. Nello stesso anno è riferito che la Vergine apparve a due sacerdoti dei Servi di Maria. La notizia suscitò interesse nella popolazione aumentando la frequenza dei fedeli e intensificando la devozione alla Vergine, cui ci si rivolgeva per perorare la fine della peste. Questa finalmente è cessata e la fiducia nella Vergine si consolidò ulteriormente. L’afflusso dei devoti permise un ampliamento dell’edificio che tuttavia restò sempre allo stato grezzo. Solo dopo oltre un secolo sono ripartiti i lavori. Dal 1750 al ’54 si sono visti notevoli miglioramenti: la creazione di 5 cappelle laterali e dell’altare maggiore sistemato in maniera ancora provvisoria. Restavano ancora altri completamenti da eseguire, tra cui in particolare la facciata. Nel frattempo i Servi di Maria promotori dell’opera sono stati costretti a lasciare convento e chiesa in seguito ad un decreto del Senato veneto. Si abolivano infatti i conventi che non raggiungevano il numero di dodici religiosi. I beni: abitazioni, convento e chiesa passarono alla repubblica veneta. Questa a sua volta nel 1775 dovette cederli al Conte Realdi, che si è avvalso del diritto di prelazione.

Nel 1782 date le pessime condizioni della chiesa di S. Vitale di continuo danneggiata dagli straripamenti dell’Adige il parroco propose e ottenne la permuta con S. Maria del Paradiso, che veniva eretta a sede parrocchiale. Fu una tappa fortunata. I due arcipreti gerosolimitani, don Giov. Zannoni e con Vitale Vitali diedero un volto nuovo alla chiesa, completando alcune delle opere rimaste in sospeso: la balaustra, i confessionali, il fonte battesimale ed altro. Alcuni anni dopo, nel 1807 si sciolse purtroppo l’ordine dei Gerosolimitani e i due arcipreti sono stati costretti a lasciare la loro attività pastorale.

Più grave però è stata la riforma napoleonica che declassò la chiesa a oratorio togliendole gran parte dei fedeli, tuttavia la sua attività pastorale non fu interrotta. Durante la sciagurata presenza francese, cui Verona rispose con le famose “pasque veronesi” finite nel sangue, non ci sono stati eventi memorabili, se si eccettua il trasferimento a S. Maria del Paradiso di 5 statue di marmo (S. Zeno, Redentore, S. Francesco di Sales, S. Francesco di Paola e S. Marco evangelista), prelevate dalla chiesa di S. Francesco da Paola.

La venuta dei padri camilliani nel 1842, invitati dal vescovo Pietro Aurelio Muti, segna una nuova tappa. P. Cesare Bresciani, fondatore della Provincia Lombardo-veneta, già stabilitosi nell’ospedale di S. Antonio Abate, era alla ricerca d’una dimora dove alloggiare le nuove reclute. Gli si è offerta in dono quasi di sorpresa la casa e la chiesa di S. Maria del  Paradiso. A fianco del Bresciani è arrivato come l’uomo della provvidenza P. Luigi Artini, che assunse la cura della chiesa e la formazione dei giovani candidati dell’Ordine dei Ministri degli Infermi. Amara sorpresa è stata la sua improvvisa scomparsa (1872). Non moriva però l’opera da lui avviata. Il gruppo dei suoi alunni ha saputo onorare il maestro testimoniando l’amore al carisma camilliano. La direzione della provincia passa allora per due anni nelle mani del P. Modena per proseguire con il P. Tomelleri, anche lui mostratosi all’altezza del suo  maestro P. Artini. E’ rimasto alla guida della Provincia per ben 14 anni, dal 1874 al 1888. A lui succede P. Pimazzoni, altro allievo di P. Artini. E’ suo merito la raccolta delle reliquie annesse alla chiesa e sistemate in un locale a parte. La sua attenzione si concentrò su opere importanti, tra cui la facciata e la pavimentazione con marmo rosso di Verona. Il reliquiario  cui è legato il suo nome ha trovato migliore sistemazione nel 1927 con l’intervento di P. Silvio Ravanelli e ultimamente di P. Ernesto Bressanin, dopo il trasloco del materiale ritornato finalmente da S. Giuliano al Paradiso, purtroppo in  condizioni disordinate e precarie. Si è aggiunto poi anche P. Paleari cui è dovuto oltre all’ultimo rinnovamento della chiesa il restauro di alcuni dipinti e la riparazione di alcune  reliquie d’un certo rilievo.

L’iniziativa di raccogliere reliquie: vestiti, ossa, capelli e altro rientra nella tradizione ecclesiale.  Per noi contemporanei ha perso molto dell’importanza attribuita in tempi passati. Tuttavia il culto delle reliquie intende trasmettere un ricordo tangibile di personalità edificanti. Il loro attuale valore riguarda  più che altro la cornice di indubbio pregio artistico. Conservano perciò un interesse più estetico che  religioso. E’ quanto si costata visitando la cappella del reliquiario di S. Maria del paradiso. C’è da rimanere stupiti per la bellezza degli ornamenti, per la cura dei minimi particolari nelle decorazioni e per i riflessi luminosi delle teche dorate.

Meriterebbero attenzione gli altari della chiesa. Ci sono dipinti di noti pittori veronesi, statue di marmo. Tra le opere più rilevanti è il  dipinto d’un anonimo del 1587. Rappresenta la Vergine con il bambino, con S. Bernardino da Siena, S. Michele Arcangelo, S. Lorenzo e Vitale. A qualche anno prima (1565) risale l’Assunta di Paolo Farinati. Di  particolare interesse artistico è l’altare della famiglia Allegri e la pala di  S. Metrone affiancato da S. Domenico di Guzman e da S. Antonio da Padova. Non poteva mancare un altare dedicato a S. Camillo con la pala dipinta da Ugolini. La lista delle opere d’arte è piuttosto lunga da non prestarsi ad essere riportata in questo contesto.

     La presenza dei santi che la chiesa di S. Maria offre alla nostra attenzione ci trasferisce al di là del presente aprendoci un passato che continua con il messaggio della fede e proprio per questo non taglia i rapporti con il presente, essendo ancorato al vangelo. Non sono solo i muri che parlano, più di questi sono i santi degni di  memoria per i loro  esempi e per il loro rapporto, tuttora attuale, con i credenti. Non sono come statue mitologiche, rimasugli da museo che non hanno alcun aggancio con il nostro mondo. Entrare in una chiesa con 500 anni di storia è entrare in  un luogo che rigurgita di memorie. Ci si trova subissati di notizie e annunci da farci sperimentare la nostra inadeguata preparazione.

Il senso della ricorrenza

Dopo questa rassegna di dati storici, non sarebbe giusto non rivolgersi la domanda sul senso d’una commemorazione pluricentenaria. Il materiale raccolto dai documenti è imprescindibile, eppure non basta. E’ necessario far sosta anche sul messaggio che ci viene trasmesso. Una chiesa infatti è un monumento, che tiene desto il ricordo. Degli anni trascorsi non tutto è andato perso, non tutto deve cadere sepolto nell’oblio. Contro questo pericolo ci mette in guardia la bibbia con il suo ripetuto monito: ricordati! Ricordati di tuo padre e tua madre, ricordati di frequentare le feste, ricordati della tua prigionia in terra d’Egitto. Il passato per l’uomo non è solo passato o realtà cancellata come fosse caduta nel nulla. Sopravvive nel ricordo. Nel lungo percorso di secoli  sono molte le generazioni che si sono susseguite e tutte sono legate tra loro come anelli d’una lunga catena. L’immagine della catena è appropriata per un duplice motivo, sta infatti ad indicare sia l’unità che la continuità. La chiesa non è mai un’istituzione privata, è se stessa se è espressione d’una comunità, che si ritrova per recitare assieme lo stesso credo, per celebrare la stessa eucaristia, ascoltare lo stesso vangelo. La fede dei credenti, passati 500 anni fa a S. Maria del Paradiso è la stessa fede che noi professiamo. L’unità comunitaria si lega alla continuità.

La chiesa del Paradiso, come molte  altre, non rappresenta solo un mondo che forse noi riteniamo ingiustamente vecchio, portano con sé l’invito alla speranza e risvegliano l’attenzione verso la meta finale. Lo  stesso titolo della chiesa S. Maria del Paradiso è un chiaro richiamo alla patria celeste. Anzitutto ci mette di fronte al tabernacolo che custodisce le specie eucaristiche. Nel contempo si entra in compagnia con la madre del Signore e i santi, rappresentati da dipinti, statue e scene luminose che mostrano i credenti giunti alla visione beatifica. Dei santi compaiono S. Metrone, S. Francesco di Sales, S. Francesco da Paola e S. Marco evangelista e molti altri. Rappresentano la chiesa trionfante, cui si unisce la chiesa militante dei fedeli. Si forma così la chiesa universale. Tutti ci si trova legati in una grande comunità che unisce i presenti e i passati, il cielo e la terra e forma il corpo mistico di Cristo. Chi entra nella chiesa del Paradiso si unisce ai credenti succedutosi lungo il corso di 500 anni, si collega ad una tradizione alla quale si è invitati a partecipare. Qui intere generazioni si sono radunate per la celebrazione dei sacramenti, incominciando dal battesimo che segna l’inizio della vita e come si festeggia la vita che spunta così si saluta la vita che si spegne celebrando il rito delle esequie. Ci sono poi momenti della vita che meritano d’essere commemorati in modo solenne nella coreografia d’un edificio sacro, così è del rito delle nozze. Nell’attività sacramentaria i padri camilliani si sono particolarmente segnalati nell’ascolto delle confessioni. Ma la chiesa diventa anche un punto di incontro delle ricorrenze festive e scadenze di eventi memorabili che fanno parte della vita d’un quartiere o della stessa città, come  potrebbero essere le sagre, la fine d’una pestilenza, d’un’inondazione, d’un incendio, d’un terremoto o il ricordo di figure eminenti di santi o persone benemerite distintesi per bontà e altruismo.  Sono  momenti molto sentiti che servono per cementare i rapporti dei fedeli.

Dietro di noi non c’è il vuoto, c’è il segno della vita, c’è un’eredità da salvaguardare, una tradizione di cui si è i continuatori. La chiesa allora, ricca di memorie, non è un archivio di oggetti morti, è una comunità vivente che accoglie come un compito l’esempio dei predecessori. Se ci si trova all’interno d’una tradizione non si è chiamati tanto a cambiare come se il passato fosse un insieme di errori, quanto piuttosto a custodire, rivivificando pratiche, principi, costumi che hanno fatto da guida ai credenti fin da tempi remoti. Restano vivi gli ideali che li hanno indotti ad iniziative evangeliche: alla cura dei malati, al soccorso degli anziani, degli orfani, dei carcerati e di quanti della vita conoscono solo la sofferenza, la fame e l’emarginazione. La chiesa di S. Maria si è presentata come una scuola che educa allo spirito evangelico. Così è stato di P. Bresciani, P. Artini e della lunga serie che si è susseguita nella sequela di S. Camillo. Quando la chiesa ritrova la sua identità non è solo una costruzione in pietre, è anche la costruzione d’una comunità, come ricorda l’apostolo Pietro ai suoi fedeli (2,5). Le pietre murarie fanno da metafora dei credenti, che a loro volta pietre vive. Nella chiesa di S. Maria sono cresciuti i primi religiosi della Provincia Lombardo-veneta. Qui hanno ascoltato il vangelo, hanno pregato, si sono accostati all’eucaristia, si sono formati all’attività pastorale, hanno fatto la loro professione religiosa. Alla chiesa di S. Maria noi camilliani siamo affettivamente legati. La riteniamo la nostra chiesa, la chiesa della Provincia come la chiesa della Maddalena di Roma è la chiesa dell’Ordine. E’ un punto di riferimento che ci racconta i primi passi della nostra storia.

Monito per il presente.    

   Nel tempo della secolarizzazione e del distacco irriverente dalla tradizione la presenza d’un edificio sacro dovrebbe suonare come un monito. Non è possibile passare da certi luoghi ignorandone i valori che interpretano. Dicono qualcosa di noi, qualcosa che forse abbiamo dimenticato, nonostante ci appartenga. E’ il caso di ricordare nella ricorrenza d’un pluricentenario un’osservazione di Péguy che fa parlare un suo personaggio ai tempi di Giovanna d’Arco:” Ingrati, popolo ingrato … tredici secoli vi hanno costruito le vostre parrocchie, vi hanno deterso la terra, la faccia  della terra, vi hanno costruito le vostre chiese. Venendo al mondo avete trovato la casa fatta e la tavola apparecchiata” (Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, 137). Celebrando un centenario viene in mente questo rimprovero che condanna il disinteresse, segno di ingratitudine verso i nostri predecessori ed hanno lavato “la faccia sporca della terra”, “tutta sporca di paganesimo”.  Viene citato questo passo alquanto pesante per richiamare il dovere della memoria e il pericolo di voltare le spalle a coloro che ci hanno preceduto lasciandoci una preziosa eredità. A parte le espressioni forti dell’autore il suo monito serve a sottolineare l’importanza del ricordo che deve trasformarsi in riconoscenza nei confronti di chi ha costruito un luogo sacro nel quale ci troviamo per pregare. Al malinconico rilievo di Péguy fa eco il lamento di de Lubac il cui pensiero – se la memoria è fedele –  richiama le guglie delle nostre cattedrali che per i costruttori  e loro contemporanei erano come braccia alzate in atteggiamento di preghiera, ora non è più così, potrebbero figurare solo come invenzioni dell’acume architettonico o peggio come costruzioni in mattoni e malta. Il loro messaggio religioso è andato smarrito. Si ergono nelle nostre città e se ne rimane estranei. Si è venuti meno al senso della tradizione. Noi ricordiamo la scadenza di 500 anni di storia per onorare la religiosità dei nostri antenati e per reagire contro la tentazione della dimenticanza.