Il carisma di Camillo e dei Camilliani

Scuola di carità

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Monumento dedicato a San Camillo, Chiesa della Maddalena, Roma. Opera del Maestro Romano

Il dono ricevuto da Camillo e trasmesso ai suoi figli non si esaurisce nella testimonianza della misericordia di Cristo verso gli infermi e i morenti. Sempre il fondatore ha avuto cura di insegnare ad altri (agli infermieri dell’ospedale, ai suoi primi compagni, ai novizi che via via si univano a lui) come migliorare la loro presenza accanto alle persone sofferenti. Con la testimonianza del suo esempio anzitutto, ma anche con parole che alle volte arrivavano fino al rimprovero, non cessava di ammaestrare ed esortare tutti al servizio di assistenza «con ogni perfezione».

Ammaestrato egli stesso

* dall’esperienza personale della malattia,

* dalla voce interiore dello Spirito che lo guidava e

* dall’ascolto dei bisogni dei malati,

Camillo ha dato inizio ad una vera e propria scuola infermieristica, con precise regole assistenziali e un dettagliato mansionario (cfr. ad esempio gli Ordini et modi che si hanno da tenere negli hospitali in servire li poveri infermi, 1584), proponendo un tipo di insegnamento che oggi definiamo integrato, che contiene il sapere e il saper-fare (le conoscenze scientifiche e le abilità tecniche), per poi saper essere, unendo le mani che curano e il cuore che ama («più cuore in quelle mani»), la tecnica e l’amore, la competenza professionale e la visione di fede.

La chiesa ha riconosciuto come parte del carisma camilliano questa esemplarità e competenza nel servire e nell’insegnare a servire meglio gli infermi. Papa Benedetto XIV, dichiarando Camillo santo nel 1746, lo ha definito «iniziatore di una nuova scuola di carità» (cfr. Bolla Misericordiae studium). E la nostra attuale Costituzione sintetizza mirabilmente questi due binari del carisma: «San Camillo … fu chiamato da Dio per assistere i malati e insegnare agli altri il modo di servirli» (n. 8).

Oggi è forte l’impegno dell’istituto nel promuovere moderne scuole di carità verso gli infermi (cfr. la parte finale: missione e valori delle ISC), per animare e formare non solo i religiosi camilliani, ma anche quegli altri religiosi e laici che condividono il nostro impegno nel mondo della salute: scuole e centri di formazione che sono «l’espressione viva dell’amore che si correda di scienza e tecnica per servire meglio» (C. Vendrame, Essere religiosi oggi).

La spiritualità che sgorga dal carisma (costituzione n. 13)

Parlare di “spiritualità camilliana” è possibile perché Camillo ha vissuto per primo un’intensissima esperienza spirituale e in tal modo lui rimane per noi anche in questo fondatore e modello.
Abbiamo già detto che la specificità del carisma camilliano è l’amore verso gli infermi vissuto in comunità di padri e di fratelli. Da questo dono deriva la nostra modalità di vivere la spiritualità cristiana. In poche righe l’articolo 13 della nostra costituzione ci indica il fondamento evangelico profondo sul quale si basa la spiritualità che sgorga dal nostro carisma:

la presenza di Cristo in noi che serviamo l’ammalato e la presenza di Cristo nell’ammalato che noi serviamo.

Sono le due rotaie del nostro cammino spirituale. Possiamo dire che tutta la costituzione, espressione dell’esperienza del fondatore, è pervasa da una duplice convinzione: da una parte noi ci identifichiamo con Cristo misericordioso e diventiamo i buoni samaritani per la persona umana nel momento in cui essa ha più bisogno di aiuto; dall’altra, riconosciamo Cristo crocifisso nella persona che soffre. In altre parole vogliamo essere Gesù per il malato e servire Gesù nel malato.

Nell’esercitare questo servizio tanto esigente e radicale, Camillo è guidato dallo Spirito ad attuare le due linee maestre della carità evangelica: riconoscere e servire Cristo nel prossimo sofferente; essere espressione di Cristo misericordioso che si prende cura dei sofferenti.

Le prime due frasi del Vangelo citate nella Formula di vita sono tratte dal capitolo 25 di Matteo: «ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me» – «ero infermo e mi avete visitato. Venite benedetti, a possedere il regno preparato per voi». È precisamente per attuare queste parole del Vangelo che Camillo e i suoi figli e figlie si sentono chiamati da Dio.

«Camillo in estasi dinanzi al Crocifisso» di Giovan Pietro Romegialli di Morbegno (1738-1799)

«Camillo in estasi dinanzi al Crocifisso»
di Giovan Pietro Romegialli di Morbegno (1738-1799)

Per la forza del carisma ricevuto, la mente, il cuore e perfino i sensi di Camillo sono completamente trasformati: egli veramente identifica Cristo sofferente nei malati che incontra fino a chiamarli «miei Signori e Padroni». E insegna: «con ogni diligenza possibile ognuno si guardi dal maltrattare i poveri infermi, cioè con parole sgarbate o altri atteggiamenti simili, ma li tratti piuttosto con mansuetudine e carità, ricordando le parole che il Signore ha detto: “Quello che avete fatto a uno di questi miei minimi, l’avete fatto a me”: perciò ognuno guardi il povero come la persona del Signore» (Regola XXXIX, in Ordini et modi).

Conclusa la liturgia dell’altare, egli continuava l’adorazione al letto degli infermi. «Considerava egli tanto vivamente la persona di Cristo in loro che spesso, quando li imboccava, immaginandosi che quelli fossero i suoi Cristi, domandava loro sottovoce grazie e il perdono dei suoi peccati, stando così riverente alla loro presenza come stesse proprio alla presenza di Cristo, cibandoli molte volte scoperto e inginocchiato … Quando prendeva qualcuno di loro in braccio per cambiargli le lenzuola, lo faceva con tanto affetto e diligenza che pareva maneggiasse la stessa persona di Gesù Cristo. E anche se l’infermo fosse stato il più contagioso o lebbroso dell’ospedale, nondimeno lo pigliava in braccio viso a viso, accostandogli il suo volto alla testa come fosse stata la testa sacra del Signore … Molte volte nel licenziarsi baciava loro le mani, o la testa, o i piedi, o le piaghe come fossero state le piaghe di Gesù Cristo» (Vita manoscritta, 228s).

Anche Camillo, come tanti altri santi e mistici, andava in estasi; ma a lui questo accadeva davanti ai malati: servendoli – come hanno testimoniato alcuni suoi confratelli – «stava tutto ridente, astratto e rapito in estasi», poiché nei volti di quei poveri infermi «egli non mirava altro che lo stesso volto del suo Signore» (Vita manoscritta, 376).

Conclusione.

Camillo de Lellis è stato un uomo che ha avuto il coraggio di volare alto. Pur frenato da indubbi limiti personali e dai pesanti condizionamenti del suo tempo, ha vissuto una straordinaria esperienza di incontro con Dio nell’incontro con l’uomo sofferente. È stato un tenace contestatore, osteggiato dai potenti e amato dai poveri; un illuminato riformatore, citato nei libri di storia della medicina e che certamente ha qualcosa da insegnare anche oggi; un cristiano esemplare, cioè un santo riconosciuto tale dal popolo e dalla chiesa. Come ha fatto lui vogliamo fare anche noi Camilliani ed estimatori di Camillo, per essere i continuatori della sua esperienza carismatica.