Camillo esprime in forme inusuali la propria spiritualità, proponendo metafore e immagini che non si riscontrano altrove riferite al mondo del malato e della sofferenza, e che, come tali, entrano nel campo della letteratura e della poesia. Oltre all’aspetto del vissuto di Camillo, e quindi storico, emerge un suo aspetto diverso in relazione al malato: un cantico nuovo, una lirica insolita: la poesia della sofferenza.
Pur non potendo parlare di Camillo come poeta in senso tecnico, possiamo dire che, anche con un vocabolario poverissimo, dinanzi al dolore, egli si esprime poeticamente.
Elementi poetici in Camillo affiorano quando si riferisce all’ ”affetto di una madre verso l’unico figlio infermo” o quando parla di “mani nella pasta della charita” o quando ci dice che desidererebbe avere cento mani per impiegarle al servizio della sua santa causa:
“nel proprio atto di cibar gli infermi stava tanto
attento in far bene quell’attione, che pareva non
gli restasse a far altra cosa nel mondo: anzi se
cento mani havesse egli havuto, tutte cento le
havrebbe impiegate, e occupate in quel servigio”
Molti altri esempi potremmo riportare che sottolineerebbero la poesia di amore e carità di Camillo. Il suo pensare in modo poetico in un luogo impoetico: tra le mura di un ospedale o in qualsiasi luogo ove esista un infermo.
Camillo, poeta del malato, è colui che innanzi tutto soffre, gioisce e si esprime sin dove la parola è appena annunzio d’una realtà più vasta e profonda. E lo è soprattutto di quel mistero riscoperto, assunto e abbracciato: Cristo nel malato. Di questo mistero egli si fa servo e profeta.
Tratto da Poesia della sofferenza: il malato e san camillo de Lellis / Carlo Colafranceschi
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